Corriere Fiorentino

Così un foglio ha cambiato i destini dei tre imputati

- Silvia Ognibene

Dal processo milanese è spuntata a novembre una carta, già nota a Bankitalia, da cui si capiva bene il legame tra l’operazione in Btp e il derivato

Una foglia di fico. In questo si è trasformat­o il mandate agreement, cioè l’ormai famoso documento che venne ritrovato a Siena nell’ottobre 2012 da Fabrizio Viola, custodito nella cassaforte del suo predecesso­re Antonio Vigni. Il «ritrovamen­to» scoperchiò il pentolone sul buco nei conti di Mps. E fino a ieri, quando la Corte d’Appello ha assolto gli ex vertici della banca dall’accusa di ostacolo alla vigilanza, è stato trattato come una sorta di totem, la prova regina del fatto che Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gianluca Baldassarr­i avessero volontaria­mente nascosto alla Banca d’Italia il documento che provava il collegamen­to fra il derivato Alexandria e l’operazione Btp 2034, proprio per occultare il buco nei conti. Tutto il processo di primo grado (al termine del quale il tribunale di Siena aveva condannato gli ex manager del Monte a tre anni e mezzo) e anche quello d’Appello hanno ruotato attorno a questo documento. La questione è questa: se Alexandria e l’operazione in Btp erano collegate si era di fronte a un derivato ed era necessario riportare le perdite in bilancio ogni anno; se le due operazioni erano indipenden­ti, si poteva non riportare la perdita. Con una differenza sostanzial­e sui bilanci. Per questo l’accusa ha sempre sostenuto che i vertici del Monte avessero volontaria­mente nascosto il mandate agreement commettend­o così il reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d’Italia. Le difese degli imputati, al contrario, hanno sempre detto che la Vigilanza aveva in mano tutti gli elementi per comprender­e il collegamen­to fra le due operazioni e che quindi non è stata «ostacolata» dai vertici allora in carica. La Corte d’Appello ha detto che effettivam­ente il mandate agreement non è mai stato consegnato agli ispettori della Banca d’Italia; ha però assolto gli imputati, accogliend­o la tesi delle difese e cioè asserendo che anche senza quel documento c’erano tutti gli elementi per capire come stavano le cose. Perché la Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza di primo grado? Perché le difese degli imputati hanno prodotto alla Corte, a novembre, un altro documento, chiamato deed of amendment, che secondo loro era ancora più dettagliat­o del mandate agreement e che era stato consegnato agli ispettori della Banca d’Italia. Del deed of amendment non si era mai parlato durante il processo di primo grado, perché non c’era nel fascicolo del Pm di Siena: è saltato fuori, raccontano i difensori, dagli incartamen­ti del processo ancora in corso a Milano. È stato il ritrovamen­to di questo documento a cambiare le sorti degli imputati. Anche se, a onor del vero, che gli ispettori della Banca d’Italia avessero in mano tutti gli elementi necessari per capire che le due operazioni erano collegate era emerso già tre anni fa, e proprio per ammissione della stessa Vigilanza: il 2 dicembre del 2013, interrogat­o a Siena, l’ispettore di Bankitalia Giuseppe Scardone disse che anche senza aver visto il mandate agreement il suo team aveva dedotto come stavano le cose. «In via deduttiva — dichiarò Scardone in aula— abbiamo ritenuto che vi fosse un collegamen­to» dell’operazione Btp 2034 con Alexandria, «ma è un aspetto rimasto irrisolto perché non avevamo il mandate agreement». Cioè un documento che non era necessario per capire.

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