La nostra fucina di Belle Arti
Il neo direttore dell’Accademia fiorentina Claudio Rocca parla dei progetti della storica istituzione «Abbiamo lanciato corsi legati al lavoro, vogliamo aprirci alla città e collaborare con la vicina casa del David»
In religioso silenzio le ragazze e i ragazzi modellano la creta, mentre il modello — fisico atletico, spalle larghe, alto — si è rivestito per la consueta pausa tra una posa l’altra. Fuori c’è l’assedio dei turisti all’Accademia del David, ma qui siamo nell’altra Accademia, la prima, fucina di arti e mestieri. L’Accademia di Belle Arti, nata a fine Settecento, ma che affonda le sue radici nella fiorentina Compagnia di San Luca o Dei Pittori del 1339. E il nuovo direttore, carrarese d’origine e fiorentino d’adozione, Claudio Rocca, guarda i ragazzi e le ragazze, arrivati a Firenze da tutto il mondo, e sorride.
«Capisco che la città ci veda come una istituzione “polverosa”, chiusa, è anche colpa nostra, ma non è così. I nostri studenti sono in aumento, lavorare con le mani è bello e non c’è nessuna vergogna ad essere bravi, ad avere un talento, ma non essere Guttuso, o Sandro Chia, il nostro allievo più di successo — spiega Rocca, una passione smodata per il marmo — L’arte non è incompatibile con il lavoro, anzi; abbiamo aperto un corso per nuove figure professionali, mediatori culturali per l’arte contemporanea e puntiamo anche al design, senza sovrapporci al dipartimento dell’Ateneo a Calenzano, così come vogliamo rilanciare l’artigianato artistico che è stato alla base dell’arte dei maestri fiorentini. Dobbiamo porci il problema di cosa faranno i nostri allievi nella vita, del loro futuro». A due passi da piazza San Marco e dalla Galleria del David e dei Prigioni, centinaia di studenti, sempre più provenienti dalla Cina, affollano aule e spazi. «Avevamo pochi anni fa 1.200 studenti, oggi sono 1.600 e possiamo crescere tranquillamente a 2.000 — spiega Rocca — Il problema sono gli spazi, su cui da tempo stiamo lavorando. Abbiamo ottenuto quelli dell’ex U in Toscana. Loredana Ficicchia
L’Accademia di belle arti di Firenze è nata nel 1784 e si trova nell’ex Ospedale di San Matteo in via Ricasoli/piazza San Marco vitali, luoghi di didattica e conoscenza. L’arte è vita, contemporaneità».
Il rapporto con l’altra Accademia è ottimo e presto il muro che le separa potrebbe diventare permeabile. «L’Accademia, e non è superbia, è storia, siamo noi e senza di noi l’Accademia del David non esisterebbe... Nel senso che la Galleria del David è stata creata da Emilio Fabris accanto a noi proprio perché questo era un luogo di produzione di arte e cultura da secoli, dove il disegno era ed è il filo comune tra le varie arti, dalla scultura alla pittura, alla fotografia alle incisioni e alla grafica. E tanti ragazzi e ragazze si iscrivono ai nostri corsi, sempre più stranieri: un terzo dei nostri studenti proviene da fuori Italia, richiamati dalla passione della pittura, che copre quattro quinti dei nostri corsi, e da Firenze». Tornare dentro la Galleria del David e non solo. «Il futuro dei nostri ragazzi deve essere al centro, assieme alla qualità dei docenti e all’apertura alla città e all’acquisizione di nuovi spazi. Per i ragazzi non italiani è incomprensibile, ad esempio, che noi non abbiamo un campus, che debbano arrangiarsi per gli alloggi, ma questa grande passione va aiutata. Per questo abbiamo lanciato quest’anno il corso per la didattica museale, solo a Firenze esistono 74 musei tra pubblici e privati, un patrimonio incredibile ma assolutamente sottovalutato e non valorizzato nel suo insieme, e vorremmo aprire un rapporto con Architettura sulla fotografia, settore dove loro non hanno insegnamento teorico e noi sì».
Il modello si deve spogliare, e noi siamo accompagnati fuori dalla grande, e fredda, aula. «Penso sia stato un errore portare fuori dal centro alcune Facoltà dell’Ateneo — riflette il direttore — perché la cultura è soprattutto connessioni, rapporti di scambio e conoscenza, anche per evitare il rischio, già presente, che il centro di Firenze sia solo una Disneyland per turisti».
E sulle operazioni come quelle di Koons e Fischer, Rocca aggiunge: «Da una parte Firenze è senza dubbio usata come “fondale pubblicitario”, dall’altra però è importante che si parli di arte contemporanea. Certo, poca gente ha gli strumenti per capirla e occorrono mediatori culturali, perché la comunicazione non significa conoscenza». Figure che l’Accademia sta formando, per guardare al futuro. «Faremo anche un mercato con le opere dei nostri allievi, come in passato, per far conoscere a tutti i nostri talenti — conclude Claudio Rocca — Vogliamo aprirci alla città, essere interlocutori culturali, collaborare con l’Ateneo e non solo. L’arte non è passato, è futuro».
Gli studenti da tutto il mondo sono in aumento, ci servirebbero il doppio degli spazi attuali: almeno il 40 per cento in più per iniziare