L’EPOPEA (INVENTATA) DI UN MARTIRE TRA VILLE E MONASTERI
San Miniato, martire in una città povera di martiri come fu Firenze: e infatti si tratta di un santo dalle gesta inventate. Se appare plausibile che nel III secolo un popolano cristiano di nome Miniato avesse fatto una brutta fine nell’arena, ed è un fatto che nel luogo dove si diceva fosse la sua tomba si sviluppò un culto popolare tale da portare poi alla fondazione di una prima chiesa, non ci sono dati certi su di lui; al contrario sono molte e dettagliate le informazioni sul suo alter ego, ma con un non trascurabile dettaglio: che furono tutte inventate dall’abate del monastero.
Tanto importante era diventata infatti la sua chiesa che il popolo chiedeva informazioni su questo santo, ma purtroppo non ve ne erano, se non il fatto che visse sotto l’imperatore Decio. Così un bel giorno l’abate decise di scriverle lui. Sapendo che i fiorentini tendono a diffidare di chi viene dalla loro stessa città, lo fece straniero, armeno addirittura; per nobilitarlo lo fece re di un regno immaginario, in visita a Firenze; scrisse che fu sottoposto a vari tormenti, tutti mortali, che sopportò senza un gemito e soprattutto senza morire. Venne buttato nell’olio bollente: niente. Gli venne versato addosso il piombo fuso: niente. Fu dato alle fiere, ma quelle ci fecero amicizia. Spazientito, l’imperatore lo fece decapitare, ma San Miniato prese la sua testa e se ne andò dall’arena, traversò l’Arno camminandoci sopra come Gesù Cristo e morì solo quando ebbe raggiunto il colle dove sarebbe sorta la sua chiesa. E la chiesa sorse, e sorse gloriosa, giacché la leggenda ebbe una risonanza che la vera e più commovente storia di un popolano morto per la sua fede non avrebbe mai avuto. Addirittura l’imperatore — quello del Sacro Romano Impero — fece arrivare ingenti fondi per arricchirne la costruzione, e sotto di essa nacquero diverse strade, tra cui questa, minore (ma plausibile come itinerario per arrivare dall’Arno alla vetta del colle), che prese il nome del santo e che sale strettissima, e fiorentinissima, nel suo alternare pietre e fianchi di chiese, ville e monasteri e porticine avvolte dall’edera (chi guarda dal buco della serratura le scoprirà aprirsi in giardini), raccontando una storia di mite bellezza, più atta all’umile santo vero che al pomposo santo immaginario.