Rifiuti choc: «I bambini? Che muoiano»
Le intercettazioni nell’inchiesta su un traffico di scarti pericolosi: sei arresti a Livorno
«Ci mancavano anche i bambini che vanno all’ospedale, che muoiano i bambini». È l’intercettazione choc che compare nelle carte nell’inchiesta della procura antimafia di Firenze sul traffico di rifiuti in Toscana che ha portato all’arresto di sei persone. Secondo le indagini dei carabinieri forestali sono stati smaltiti abusivamente oltre 200 mila tonnellate di rifiuti provenienti da varie regioni, con truffa alla Regione.
Stracci imbevuti di solventi, toner e vernici mescolati a carta, rocce di scavo e vestiti. Per anni, rifiuti pericolosi dall’odore pungente sarebbero stati tritati con spazzatura ordinaria prima di finire nelle discariche di Scapigliato e Piombino, nel livornese. Un falso certificato dichiarava quegli scarti ormai «ripuliti» e il gioco era fatto: dal 2015 e fino all’agosto scorso sarebbero state smaltite illegalmente oltre 200 mila tonnellate di rifiuti. Un sistema congegnato, pare, da alcuni imprenditori toscani per risparmiare sui costi di smaltimento a scapito della sicurezza e frodare la Regione Toscana per oltre 4 milioni di euro, a fronte di un guadagno di 26 milioni di euro. È l’ipotesi della procura antimafia di Firenze che ha coordinato le indagini dei carabinieri forestali sul traffico illecito di rifiuti, truffa aggravata associazione a delinquere e ha fatto arrestare sei persone.
I fornitori di rifiuti spesso annunciavano con sms: «Arriva uno non troppo Chanel» alludendo all’odore nauseabondo. E, per evitare che venisse scoperta la reale natura degli scarti, si raccomandava che fossero ben triturati. Ma era spesso inutile. «Ci mancavano i bambini che vanno all’ospedale, che muoiano» dicono al telefono due indagati non sapendo di essere intercettati. Si beffano così del sindaco di un paese del nord Italia che nel 2015 protesta per l’odore nauseabondo e irritante provocato dalle attività di una discarica vicina a una scuola. Esalazioni tanto velenose da
provocare bruciore alla gola e tanto caustiche da far lacrimare studenti e insegnanti che erano stati costretti a correre in ospedale. «Non mi importa dei bambini si sentano male — ridono gli indagati al telefono — Io li scaricherei in mezzo alla strada i rifiuti».
All’alba di ieri sono finite ai domiciliari sei persone, tra imprenditori e manager: Emiliano Lonzi, titolare della Lonzi Metalli e proprietario della Ra.Ri., la moglie Anna Mancini, il cognato Stefano Fulceri, i dipendenti Mauro Palandri, Stefano Lena e Alessandro Bertini. Il gip Antonio Pezzuti, su richiesta del pm Ettore Squillace Greco (che ha coordinato le indagini prima di andare a dirigere la procura di Livorno), ha poi interdetto per un anno dall’esercizio dell’attività di impresa Paola Calligari, Massimiliano Monti, Dunia Del Seppia, Agostino Federghini e Alessandro Vanni. È scattato anche il sequestro preventivo per la Lonzi Metalli e della Ra.Ri.srl. Oltre cinquanta,finora, gli indagati in tutta Italia. Gli investigatori hanno perquisito fino a tarda sera discariche, uffici e abitazioni alla ricerca di documenti contabili. In un garage, sarebbero state trovate altre ricevute riconducibili alle aziende riconducibile a Lonzi.
L’inchiesta parte nel 2014, quando la procura di Grosseto apre un fascicolo sulla HuntsmanTioxide di Scarlino che produce biossido di titanio. Il sospetto è che gli scarti di produzione radioattivi e i macchinari usati siano stati distrutti in maniera illecita. Le indagini svelano che anche la Lonzi Metalli aveva smaltito quei rifiuti pericolosi. Da allora gli accertamenti vanno avanti. Vernici, stracci intrisi di solventi, filtri e toner avrebbero varcato i cancelli della Lonzi Metalli e della Ra.Ri. come rifiuti pericolosi. Poi, con una modifica al codice sulle bolle di viaggio, sarebbero diventati scarti innocui, non tossici. I tir spesso, come emerge dalle telecamere nascoste dagli investigatori, transitavano dalle aziende di stoccaggio e, senza eseguire alcun trattamento, ripartivano alla volta delle due discariche a partecipazione pubblica, la Rea di Rosignano Marittimo e la Rimateria di Piombino. Lonzi Metalli e Ra.Ri. erano imprese di famiglia, dove ognuno, secondo la Procura, aveva ruoli ben precisi: Emiliano Lonzi avrebbe organizzato il traffico di rifiuti con l’aiuto di Fulceri e della moglie, Palandri e Bertini avrebbero tenuto i contatti commerciali e gestito il «girobolla», Lena avrebbe seguito l’accettazione dei carichi di rifiuti. Viaggiavano per l’Italia quei rifiuti dall’odore insopportabile. Arrivavano anche dalla Fnb srl, una ditta di Prato, specializzata nel trattamento di rifiuti.