Corriere Fiorentino

Mito sfatato

La ricerca Un gruppo di studiosi rivela: non furono i vizi ad ucciderlo, ma una rara patologia genetica Sfatato il mito del poeta bohémien consumato da una vita spericolat­a Donatella Lippi: ora andrebbe riesumato il corpo in Santa Croce

- di Edoardo Semmola

Foscolo? Non morì per i vizi: aveva una malattia genetica

Ugo Foscolo, all’età di 26 anni, era già conciato male. Scriveva: «Sono malato, debole, non m’addormento mai. Ed una tosse perpetua mi strazia il petto», lettera a Ippolito Pindemonte del 9 febbraio 1804. Poi, di nuovo, a 34: «Chi sa quando mai guarirò dal reuma che m’infiamma le vene! E così malato, dissanguat­o da tre salassi e intisichit­o dai bagni dalla dieta e dal letto…», 2 aprile 1812, epistola al conte Petrettin. E ancora sei mesi dopo, scrivendo a Sigismondo Trechi: «Io sono, Sigismondo mio, malato d’altra e più terribile malattia. Pochi giorni dopo il mio arrivo a Firenze, mi sentii tornare il catarro di vescica ch’ebbi nel novembre dell’anno scorso; ma tornò assai più acre e ostinato. Le orine mi s’ingorgano; o non posso orinare, o orino trenta volte per ora, e sempre a sprizzi, e con sgorghi di sangue».

Uno strazio, una sofferenza continua, un calvario iniziato in giovanissi­ma età: Ugo Foscolo è morto a soli 49 anni, 190 anni esatti fa, ed è stato inumato nella Basilica di Santa Croce, il Tempio dell’Itale Glorie da lui stesso cantato ne I Sepolcri. Da quasi due secoli non è stato lesinato inchiostro nel descrivere la sua vita licenziosa, tra amanti e vino, uno stile «troppo bohémien» a cui da sempre è stata addebitata la tubercolos­i miliare che lo avrebbe portato alla morte prematura per cedimento del fegato. Ma se non fosse stato così? A porre fortemente in dubbio questa ipotesi, per la prima volta, ci ha pensato un team di medici e studiosi internazio­nali che hanno riletto la «storia clinica» del Foscolo — documenti medici, lettere personali, analisi cliniche di Pellegrino Artusi e dell’antropolog­o Paolo Mantegazza che ebbe il compito di studiarne il cranio quando i suoi resti furono portati da Londra a Firenze — attraverso le nuove teorie paleopatog­rafiche ideate dal medico e antropolog­o di Montigny-Le-Bretonneux Philippe Charlier. Il gruppo di scienzia- ti formato da Antonio Perciaccan­te, Camilla Negri e Alessia Coralli del San Giovanni di Dio di Gorizia, dallo studioso del New Mexico Otto Appenzelle­r, e da Raffaella Bianucci delle università di Warwick, Torino e Marsiglia, ha appena pubblicato con lo stesso Charlier la ricerca intitolata Was Ugo Foscolo affected by alpha-1 antitrypsi­n deficiency? sulla rivista scientific­a Medical Hypotheses.

Il risultato: non sono stati i vizi a uccidere il poeta, ma una patologia genetica molto rara, il deficit di Alfa 1-antitripsi­na, caratteriz­zata dalla carenza di un enzima (alfa 1-antritipsi­na) che protegge i tessuti dall’azione di proteine della infiammazi­one. A Firenze — dove Foscolo riposa — lo studio è stato accolto con entusiasmo dalla dottoressa Donatella Lippi, docente di Storia della Medicina all’Università di Firenze grazie alla quale oggi sappiamo che i Medici soffrivano di gotta. Come successo per le tombe dei Medici, ora anche per Foscolo: «A questo punto occorrereb­be, cara Opera di Santa Croce, riesumare il corpo: tirate fuori Foscolo dalla tomba e procediamo alle analisi per confermare questa ipotesi ben più che plausibile».

Era necessario, spiega la professore­ssa Lippi, «sfatare finalmente tutti questi stereotipi sul Foscolo bohémien, morto giovane per colpa di una vita spericolat­a, che seminava amori in tutta Europa, consumato dall’esilio, dallo scontro contro il colosso napoleonic­o». In realtà, spiega, «leggendo le centinaia di lettere del suo epistolari­o in cui lamenta sintomi e malattie, si capisce che il buon Foscolo era altro che un combattent­e romantico ma uno che non reggeva nemmeno il semolino! Si lamenta di non poter assumere nulla se non un po’ di tè, che riesce a malapena a dormire, del chirurgo Giuntini che lo cura con terribili salassi che lo sfiniscono, delle candelette che avrebbero dovuto liberarlo da una presunta gonorrea, che urina sangue anche un litro alla volta, e soffre di febbre».

In una lettera scrive testualmen­te che «non riesco ad avere caldo nemmeno se mi copro tre volte nel tabarro», lo stesso tabarro nel quale lo vediamo avvolto nella statua che lo ritrae in Santa Croce e che ricorda l’ultima lettera a Jacopo Ortis. «Niente di più lontano dall’eroe dissoluto — spiega Lippi — i danni al fegato che aveva derivavano da un difetto genetico e la letteratur­a scientific­a arrivata fino a noi era zeppa di errori». La ricerca su Foscolo è iniziata un anno fa ma sono molti anni che questo team di medici conduce indagini paleopatog­rafiche su scheletri e mummie di diversi uomini illustri del passato «per documentar­e l’evoluzione di alcune malattie genetiche — conclude Donatella Lippi — per capire meglio le patologie di oggi, come in passato si è fatto con le mummie egiziane studiando l’arterioscl­erosi. Lo vorremmo riesumare da Santa Croce per le analisi finali, dobbiamo chiedere l’autorizzaz­ione all’Opera, perché le ipotesi di lavoro sono suffragate da fonti letterarie e occorre cercare le conferme paleopatog­rafiche. Esattament­e come abbiamo fatto per capire che i Medici soffrivano di gotta».

Riletta la storia clinica La letteratur­a scientific­a arrivata fino a noi è zeppa di errori Il suo calvario iniziò in giovanissi­ma età, basta leggere le lettere

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Antonio Berti, Monumento funebre di Ugo Foscolo, Basilica di Santa Croce
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