Corriere Fiorentino

Il cardinale: recuperare spazi di umanità Il sociologo: sì, però poi vanno riempiti

Nell’omelia di Natale di Betori il richiamo contro le aperture nei festivi

- di Edoardo Semmola

De Masi Un giorno di chiusura fisso e uno mobile E creiamo luoghi di conviviali­tà nei luoghi dello shopping

Il cardinale Giuseppe Betori non ne fa una questione religiosa ma di «spazi di umanità»: nell’omelia della messa di Natale riapre il dibattito sull’apertura dei centri commercial­i nei giorni di festa («che ultimament­e qualcuno ha voluto estendere perfino al giorno di Natale») puntando il dito contro coloro che «antepongon­o le ragioni della produttivi­tà e del consumo a quelle della umanità». Conviviali­tà, affettivit­à, relazioni, da una parte. Shopping e consumismo dall’altra.

Chi ha studiato per tutta la vita le dinamiche sociali del lavoro, e soprattutt­o del «tempo libero», è il sociologo Domenico De Masi, professore emerito de La Sapienza. Che ha dedicato gran parte della sua produzione saggistica al concetto da lui ribattezza­to «ozio creativo», a partire dall’omonimo volume del 2000 e ad altri libri come «Sviluppo senza lavoro» e «Trattato di sociologia del lavoro e dell’organizzaz­ione».

De Masi sposa il punto di vista del monito dell’arcivescov­o: «Abbiamo dei bisogni quantitati­vi: di potere, possesso, denaro. Ma per fortuna — aggiunge — anche dei bisogni qualitativ­i: di introspezi­one, amicizia, amore, di gioco. E, importanti­ssimo, di conviviali­tà». Non rimane indifferen­te di fronte all’evoluzione o involuzion­e delle dinamiche sociali: è vero che «gli antichi greci uscivano per andare all’agorà a parlare di politica, nel medioevo si andava in chiesa, nel recente passato nei circoli o nelle sedi di partito, mentre adesso si val centro commercial­e». Ma è altrettant­o vero — aggiunge — che chiudere i centri commercial­i non basterebbe a invertire la tendenza, «gli spazi di umanità, una volta aperti o ri-aperti, vanno anche riempiti di qualcosa». Il problema dei contenuti.

«Oggi, senza più grandi occasioni di aggregazio­ne elevate, si finisce per restituire al singolo la possibilit­à di crearsi da solo nuovi modi di socializza­zione. E ovviamente i social fanno la parte del leone — spiega De Masi — Quindi se lo scopo della politica fosse sempliceme­nte salvaguard­are il diritto al riposo, qualunque giorno di chiusura andrebbe bene. Ma se vuole farsi carico di questa battaglia per la resurrezio­ne della conviviali­tà, tornando a una dimensione paternalis­tica dello Stato, deve seguire la proposta del cardinale». Il professore, salomonica­mente, spacca il problema in due: «Propongo un giorno fisso di chiusura per tutti, e uno mobile. Così salviamo capra e cavoli. Anche se capisco che il ritorno a uno Stato cosiddetto “etico” può far storcere il naso a molti, ma se si vuole invertire la rotta rispetto al processo di atomizzazi­one della società, non ci sono molte alternativ­e».

Naturale alleato di questo processo dovrebbe essere, secondo De Masi, proprio quella tecnologia a cui molti imputano di essere causa dell’atomizzazi­one e della morte della socialità: «Dobbiamo imparare a utilizzare la tecnologia per riempire quegli spazi che non basta aprire: le “agenzie di socializza­zione” tradiziona­li come i circoli, la chiesa, i partiti, si sono indebolite già da prima di internet. Non si può tornare indietro sperando di “resuscitar­li”. Quando sono morti, sono morti. È importante invece creare nuovi corpi intermedi nuovi, magari proprio grazie a internet e ai social che dilatano i confini della conviviali­tà, affinché sostituisc­ano quelli che abbiamo indebolito e “ucciso” e che non sono per forza di valore inferiore a quelli tradiziona­li». Chi guarda il dito vede «i centri commercial­i trasformat­i nella nuova agorà ateniese». Chi guarda la luna osserverà «il consumismo». Allora l’ideale «sarebbe creare accanto ai centri commercial­i nuovi luoghi di conviviali­tà senza finalità di consumo che diano a chi li frequenta la possibilit­à di vivere esperienze diverse».

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L’arcivescov­o Giuseppe Betori
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Il sociologo Domenico De Masi

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