Il cardinale: recuperare spazi di umanità Il sociologo: sì, però poi vanno riempiti
Nell’omelia di Natale di Betori il richiamo contro le aperture nei festivi
De Masi Un giorno di chiusura fisso e uno mobile E creiamo luoghi di convivialità nei luoghi dello shopping
Il cardinale Giuseppe Betori non ne fa una questione religiosa ma di «spazi di umanità»: nell’omelia della messa di Natale riapre il dibattito sull’apertura dei centri commerciali nei giorni di festa («che ultimamente qualcuno ha voluto estendere perfino al giorno di Natale») puntando il dito contro coloro che «antepongono le ragioni della produttività e del consumo a quelle della umanità». Convivialità, affettività, relazioni, da una parte. Shopping e consumismo dall’altra.
Chi ha studiato per tutta la vita le dinamiche sociali del lavoro, e soprattutto del «tempo libero», è il sociologo Domenico De Masi, professore emerito de La Sapienza. Che ha dedicato gran parte della sua produzione saggistica al concetto da lui ribattezzato «ozio creativo», a partire dall’omonimo volume del 2000 e ad altri libri come «Sviluppo senza lavoro» e «Trattato di sociologia del lavoro e dell’organizzazione».
De Masi sposa il punto di vista del monito dell’arcivescovo: «Abbiamo dei bisogni quantitativi: di potere, possesso, denaro. Ma per fortuna — aggiunge — anche dei bisogni qualitativi: di introspezione, amicizia, amore, di gioco. E, importantissimo, di convivialità». Non rimane indifferente di fronte all’evoluzione o involuzione delle dinamiche sociali: è vero che «gli antichi greci uscivano per andare all’agorà a parlare di politica, nel medioevo si andava in chiesa, nel recente passato nei circoli o nelle sedi di partito, mentre adesso si val centro commerciale». Ma è altrettanto vero — aggiunge — che chiudere i centri commerciali non basterebbe a invertire la tendenza, «gli spazi di umanità, una volta aperti o ri-aperti, vanno anche riempiti di qualcosa». Il problema dei contenuti.
«Oggi, senza più grandi occasioni di aggregazione elevate, si finisce per restituire al singolo la possibilità di crearsi da solo nuovi modi di socializzazione. E ovviamente i social fanno la parte del leone — spiega De Masi — Quindi se lo scopo della politica fosse semplicemente salvaguardare il diritto al riposo, qualunque giorno di chiusura andrebbe bene. Ma se vuole farsi carico di questa battaglia per la resurrezione della convivialità, tornando a una dimensione paternalistica dello Stato, deve seguire la proposta del cardinale». Il professore, salomonicamente, spacca il problema in due: «Propongo un giorno fisso di chiusura per tutti, e uno mobile. Così salviamo capra e cavoli. Anche se capisco che il ritorno a uno Stato cosiddetto “etico” può far storcere il naso a molti, ma se si vuole invertire la rotta rispetto al processo di atomizzazione della società, non ci sono molte alternative».
Naturale alleato di questo processo dovrebbe essere, secondo De Masi, proprio quella tecnologia a cui molti imputano di essere causa dell’atomizzazione e della morte della socialità: «Dobbiamo imparare a utilizzare la tecnologia per riempire quegli spazi che non basta aprire: le “agenzie di socializzazione” tradizionali come i circoli, la chiesa, i partiti, si sono indebolite già da prima di internet. Non si può tornare indietro sperando di “resuscitarli”. Quando sono morti, sono morti. È importante invece creare nuovi corpi intermedi nuovi, magari proprio grazie a internet e ai social che dilatano i confini della convivialità, affinché sostituiscano quelli che abbiamo indebolito e “ucciso” e che non sono per forza di valore inferiore a quelli tradizionali». Chi guarda il dito vede «i centri commerciali trasformati nella nuova agorà ateniese». Chi guarda la luna osserverà «il consumismo». Allora l’ideale «sarebbe creare accanto ai centri commerciali nuovi luoghi di convivialità senza finalità di consumo che diano a chi li frequenta la possibilità di vivere esperienze diverse».