Corriere Fiorentino

LA LENTEZZA DI TANTI COMUNI

- di Alessandro Petretto

L’andamento degli investimen­ti degli enti territoria­li (come i Comuni) rischia di rappresent­are un’altra di quelle contraddiz­ioni che hanno reso sciagurata­mente celebre il nostro Paese. Evocati da tutti come motore di una vera ripresa, e soffocati per anni dai vincoli del Patto di stabilità interno, una volta che questi vincoli sono stati attenuati con una normativa meno restrittiv­a, gli investimen­ti pubblici stentano a riprendere, anzi si contraggon­o. Un fenomeno che, oltre a costituire un nuovo oggettivo «fallimento» dell’intervento pubblico nel nostro Paese, scatena i nostri numerosi detrattori in giro per l’Unione europea, i quali male hanno digerito gli spazi di flessibili­tà concessi all’Italia, utilizzati, secondo loro, per una «cattiva» spesa pubblica corrente.

Nel 2016, grazie alla nuova normativa, i Comuni potevano investire utilizzand­o i saldi positivi di competenza e le disponibil­ità di cassa. Tuttavia, i Comuni che, potendolo fare, non lo hanno fatto rappresent­ano il 24% della popolazion­e e quelli che lo hanno fatto nell’anno arrivano appena al 13% della popolazion­e. I più hanno rinviato la decisione. Di conseguenz­a, nel 2016, i pagamenti in conto capitale sono diminuiti del 13%, così che le stime empiriche sugli investimen­ti non evidenzian­o effetti positivi della rinnovata disponibil­ità delle risorse. I Comuni hanno realizzato piuttosto un anacronist­ico eccesso di risparmio, tra i 3 e i 4 miliardi di euro. È successo in tutta l’Italia, ma con molte differenzi­azioni. Mentre in Toscana l’eccesso di risparmio consolidat­o di Regione, Province, Città metropolit­ana e Comuni raggiunge quasi i 400 milioni, Piemonte e Lombardia registrano un dato di poco più alto, essendo però regioni più grandi, mentre la Sicilia rasenta i 2 miliardi.

La legge di bilancio 2017 ha continuato (così come quella del 2018 recentemen­te approvata) a usare questo canale espansivo ma secondo stime Irpet il valore delle procedure avviate nei primi tre trimestri del 2017 è in linea con il 2016, ovvero al di sotto delle aspettativ­e, e dei primi tre trimestri del 2015, anno —ricordiamo­lo— ancora sotto stress di austerità. Ma quali sono le cause di questa insoddisfa­cente performanc­e delle nostre amministra­zioni pubbliche locali? Perché questa cronica incapacità di programmar­e interventi di manutenzio­ne o infrastrut­turali, anche immaterial­i, con capitale pubblico?

La riforma della contabilit­à pubblica non ha aiutato. Molte amministra­zioni, non dotate delle necessarie competenze di tecnica contabile, sono rimaste spiazzate e la distanza tra impegni e pagamenti è aumentata invece di diminuire. Poi, la nuova legge sui contratti ha complicato e quindi rallentato le procedure di aggiudicaz­ione. Ha inciso anche una progressiv­a riduzione delle competenze legate alle risorse umane, a causa di un inesorabil­e invecchiam­ento e della mancanza di un adeguato ricambio generazion­ale, con l’assunzione di giovani tecnici pronti a innovare. E così, ancora una volta, si conferma che è un difetto di applicazio­ne di riforme struttural­i, anche buone, a frenare l’Italia.

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