Una storia lunga 135 anni bruciata in un lampo E poi comprata con 1 euro
È finita ufficialmente nella notte fra il 26 e il 27 novembre la storia di Banca Etruria, quando il sistema è «migrato» sulla piattaforma di Ubi che ha rilevato 141 filiali e quasi 1.500 dipendenti alla cifra simbolica di un euro. Per un soldo Victor Massiah ha acquisito le quattro banche (Carife, Cassa Marche e Carichieti oltre a Etruria) che ormai due anni fa, il 22 novembre 2015, erano state messe in risoluzione, primo e unico caso della storia bancaria italiana, con l’azzeramento delle azioni e delle obbligazioni subordinate, titoli ad alto rischio che erano stati piazzati ai risparmiatori prima che le regole europee cambiassero retroattivamente le carte in tavola. Un bagno di sangue, economico e politico, che ancora oggi fa sentire prepotentemente i suoi strascichi.
Eppure le responsabilità del fallimento dell’istituto nato nel 1882 come Banca Mutua Popolare Aretina sono diverse e in capo a tanti. A pagare, secondo le nuove norme europee, sono stati chiamati anche i risparmiatori che avevano sottoscritto il prestito subordinato emesso nel 2013 per tentare, assieme ad un aumento di capitale, di rimpolpare il patrimonio della banca. È per questo, perché la banca rischiava di saltare, che quelle obbligazioni subordinate diventarono tanto rischiose da non essere adatte ai semplici risparmiatori.
Eppure che Etruria fosse messa male si sapeva: lo sapeva bene la Banca d’Italia visto che già nel dicembre 2013 il governatore Ignazio Visco aveva intimato al Cda di Bpel di fondersi con un partner di «adeguato standing». Eppure Bankitalia approvò le emissioni di obbligazioni subordinate di giugno e ottobre 2013, fatte proprio durante una delle sue ispezioni. Che Etruria rischiasse di saltare lo sapeva, o avrebbe dovuto saperlo, anche la Consob: Bankitalia dice di averla informata, nel rispetto dei protocolli che impongono la collaborazione fra gli organi di vigilanza, con una lettera del 30 ottobre 2013 nella quale riepilogava le criticità emerse nel corso delle ispezioni. Consob sostiene invece di avere avuto coscienza della situazione soltanto nel 2016, grazie a una comunicazione del presidente della «banca ponte» Roberto Nicastro. Eppure nel dicembre 2013 Consob chiese al Cda di Etruria di informare il mercato sulle difficoltà che stava vivendo e il 20 dicembre emise un supplemento al prospetto delle obbligazioni subordinate (che però poche settimane prima aveva approvato) per segnalare l’aumento dei rischi.
Tutti sapevano, ma nessuno fermò la vendita di quelle obbligazioni allo sportello. Al disastro finanziario ha fatto seguito l’apertura di uno stuolo di procedimenti giudiziari di cui si fatica a tenere il conto: basti pensare che le parti civili ammesse al processo per bancarotta (dove sono indagate una trentina di persone fra ex amministratori e dirigenti) sono oltre duemila.