L’Europa dà l’ok al Tesoro Adesso a Siena guida una donna
Era il 22 dicembre del 2016 quando il Monte dei Paschi annunciò che il salvataggio di mercato era fallito, aprendo le porte all’intervento dello Stato: «Non sono stati raccolti ordini di investimento sufficienti a raggiungere la somma di 5 miliardi di euro — scrisse l’istituto in una nota — non si sono concretizzate manifestazioni di interesse da parte di anchor investor disponibili a effettuare un investimento rilevante nella banca«. Naufragò così il piano affidato a Jp Morgan che aveva visto come preludio l’allontanamento dell’ad Fabrizio Viola e l’arrivo di Marco Morelli alla guida della banca, la conversione delle obbligazioni subordinate in mano a circa 40 mila risparmiatori che pure avevano aderito all’offerta mostrando di credere nella «loro» banca molto più dei potenziali investitori istituzionali. L’idea di un salvataggio di mercato di Mps nacque in un pranzo a Roma fra il numero uno mondiale di JP Morgan, Jamie Dimon, e l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi che voleva evitare ad ogni costo un salvataggio pubblico. Il team di Morelli, alla ricerca di investitori e nel tentativo di rispettare le richieste dei regolatori, ha lavorato a testa bassa, ma la campana per il Monte suonò il 4 dicembre, quando l’esito del referendum costituzionale sfiduciò Renzi che si dimise aprendo la strada a un possibile periodo di instabilità e spaventando i potenziali investitori. Il 4 luglio la commissione europea ha approvato la ricapitalizzazione precauzionale del Monte dei Paschi di Siena e il Tesoro è entrato nel capitale con 5,4 miliardi di euro, salendo al 70% circa della banca. Salvi i possessori di obbligazioni subordinate che (in alcuni casi) saranno ristorati con denaro pubblico. In totale il salvataggio di Mps è costato 8,1 miliardi di euro allo Stato che potrà restare azionista fino alla conclusione del piano concordato con le autorità europee, cioè fino al 2021. Il nuovo Cda del Monte, che ha ufficializzato l’ingresso dello Stato nella posizione di strapotere che un tempo fu della Fondazione, è guidato da Stefania Bariatti che affianca l’ad Marco Morelli dopo che l’ex presidente (riconfermato dal Tesoro), Alessandro Falciai, si è dimesso perché indagato per una vicenda relativa ai cantieri Mondomarine di Pisa. Il Monte ha davanti a sé un percorso lungo e di «duro lavoro», come ha spiegato Morelli, che non può prescindere dal riavvio della macchina commerciale e che prevede come tassello fondamentale la cessione di 28,6 miliardi di sofferenze lorde entro la prima metà del 2018. Prosegue intanto il risvolto giudiziario, con gli ex vertici di Mps a giudizio a Milano per le operazioni di acquisto di Antonveneta e i derivati stipulati, secondo l’accusa, per tappare il buco generato dal troppo ambizioso passo di crescita datato 2007. Il procedimento milanese (Siena ha trasferito gli atti nel capoluogo lombardo perché qui ha sede la Borsa) vede 16 imputati fra cui gli ex vertici della banca senese Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gianluca Baldassarri e, in qualità di enti, Nomura International Plc, Deutsche Bank AG e la sua filiale londinese, accusati, a vario titolo, di falso in bilancio, aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. A processo anche i successori Fabrizio Viola e Alessandro Profumo, accusati di aggiotaggio e falso in bilancio per la non corretta contabilizzazione dei derivati Alexandria e Santorini. Ribaltata, invece, la sentenza di primo grado per Mussari, Baldassarri e Vigni: condannati a Siena per aver ostacolato la vigilanza, il 7 dicembre sono stati assolti dalla Corte d’Appello di Firenze secondo cui Bankitalia aveva a disposizione tutte le informazioni necessarie per capire l’operazione.