Bufale e accuse, il delirio delle buste bio
Dopo le polemiche web, la guerra dei costi e l’attacco di Renzi ai complottisti
C’è chi, per protesta, preferisce prendere la frutta e la verdura sfusa attaccando l’etichetta con il prezzo direttamente sopra. Altri invece non si curano del costo e anzi «li comprano per metterci gli ombrelli» spiega una cassiera del supermercato Conad Sapori & Dintorni di via de’ Bardi, a due passi da Palazzo Vecchio.
La novità dei sacchetti biodegradabili a pagamento anche a Firenze suscita da una parte sorrisi dall’altra polemiche da parte dei consumatori, nei supermercati e soprattutto sui social.
Dal 1 gennaio i sacchetti per i prodotti dell’ortofrutta, della macelleria e della pescheria vengono pagati dai clienti e la voce del costo deve comparire nello scontrino o nella fattura. Il governo, applicando una normativa dell’Unione Europea, ha stabilito che il costo delle shopper di plastica venga pagato direttamente dai clienti alla cassa. Finora era invece corrisposto dai marchi della grande distribuzione, che anticipavano il conto, ma poi lo scaricavano comunque sui consumatori attraverso il prezzo dei prodotti sugli scaffali, ma senza che finisse direttamente nello scontrino.
Il prezzo fissato è tra 1 e 5 centesimi, tetto massimo, ed ogni catena di supermercati decide quale tariffa applicare: da Carrefour costano 3 centesimi, da Lidl 2. Esselunga, Conad e Coop li mettono in vendita al minimo, 1 centesimo.
La legge prevede che tutte le buste di plastica, prima quelle «fornite ai consumatori per il trasporto di merci o prodotti» ora anche quelle «richieste a fini di igiene o fornite come imballaggio primario per alimenti sfusi», «non possano essere distribuite a titolo gratuito»: per i negozi che non si adeguano sono previste multe salate da 2.500 a 25.000 euro, ma le sanzioni possono arrivare anche fino a 100.000 euro. I consumatori, per motivi igienici, non possono usare sacchetti portati da casa o riutilizzati. Però è possibile togliere il costo (calcolato dalla bilancia) alla cassa se il prodotto non è imbustato.
«Solo una signora ha protestato, ma quando le abbiamo spiegato il motivo, è andata via senza fiatare», spiega una commessa. Sui social invece si scatenano le polemiche, più o meno ironiche, con trucchi per non pagare i sacchetti, etichettando per esempio un frutto alla volta.
Per l’assessore all’ambiente di Firenze Alessia Bettini far pagare le shopper «è un modo per sensibilizzare un uso consapevole della plastica e della bioplastica, invitando il più possibile a utilizzare buste e sporte di stoffa».
Sull’argomento interviene anche il segretario del Pd Matteo Renzi chiamato in causa sui social: «L’ultima che sta girando molto via sms è che avrei organizzato un complotto per aiutare miei amici e cugini di terzo grado impegnati nella fabbricazione di sacchetti», scrive sul suo profilo Facebook. «Nel 2017 l’Italia ha attuato una direttiva europea che tende a eliminare la plastica dai sacchetti. L’obiettivo sacrosanto è combattere l’inquinamento alla luce degli impegni che abbiamo firmato a Parigi e che rivendichiamo». E sull’accusa di favorire «un’azienda amica del Pd» l’ex premier ricorda che in Italia «ci sono 150 aziende che fabbricano sacchetti prodotti da materiale naturali e non da petrolio. Hanno 4mila dipendenti e circa 350 milioni di fatturato. Anziché gridare al complotto dovremmo aiutare a creare nuove aziende nel settore della green economy».