NON SIAMO RAZZISTI, MA NEMMENO PRONTI PER QUESTO IUS SOLI
Caro Direttore, la lettera a firma Ugo Caffaz e pubblicata sul Corriere Fiorentino il 2 gennaio dal titolo «Paradossi e diritti, 80 anni dopo le leggi razziali», è sconcertante e merita alcune considerazioni. Essa sembra porre, infatti, una qualche analogia tra la mancata approvazione del cosiddetto Ius Soli e le ignobili leggi razziali. Accostamento non solo assolutamente improprio, ma pure grave. Anche a voler tollerare la più estrema faziosità politica da clima elettorale. Le ragioni sono talmente ovvie che è quasi imbarazzante doverne parlare. La legge sul cosiddetto Ius Soli concerne infatti la discussione (molto divisiva in Italia come altrove), circa un nuovo modo di acquisto della cittadinanza che si aggiungerebbe a quello tipico e tradizionale dello Ius Sanguinis. Per prima cosa — e solo per ristabilire oggettiva informazione — in Italia lo Ius Soli già esiste, potendo acquisire la cittadinanza italiana chi nascendo sul territorio da genitori stranieri ha qui risieduto fino al raggiungimento della maggiore età. E l’Italia è tutt’altro che ingenerosa con le concessioni di cittadinanza, come dimostrano i numeri (200.000 ogni anno). Il sistema automatico di acquisizione della cittadinanza sulla base dello Ius Soli più estremo, tipico del sistema americano, fa riferimento ad una realtà non utilmente comparabile con il nostro Paese. Trattasi infatti di sistema (come il Canada o l’India), «geneticamente» multiculturale. Esperienza molto diversa dai Paesi europei più vicini all’Italia per cultura e tradizione. Non è chiara, inoltre, l’affermazione dell’Autore in base alla quale i minori, in attesa della cittadinanza, sarebbero soggetti indifesi (?). A noi risulta, invece, che i minori stranieri, regolarmente qui residenti, abbiamo gli stessi identici diritti dei bambini italiani. Dalla scuola alla sanità. Come è doveroso che sia. E nessuno si sognerebbe di metterlo in discussione. Di tutto, comunque, si può e si deve dibattere. Nel rispetto delle diversità di posizioni e dei diversi modi di intendere la cittadinanza. E lo Ius Soli non deve essere un tabù. Ma neppure lo strumento, maliziosamente brandito, per evocare una delle pagine più infamanti della nostra storia, quali sono state le leggi razziali. E per veicolare, maliziosamente, la vulgata di un Paese, il nostro, che starebbe diventando razzista e xenofobo perché una parte consistente del popolo italiano non lo vuole introdurre. O, comunque, non lo vuole nella versione oggi in discussione in parlamento. L’Autore addirittura parla — cito testualmente — di una «malcelata paura che da unioni fra italiani e persone di colore venga meno la purezza della “razza”». Davvero inquietante che queste affermazioni, evidentemente provocatorie, provengano da chi ha anche ricoperto importanti ruoli istituzionali.
*Ordinario di Diritto Costituzionale Italiano e Comparato Università di Firenze