Corriere Fiorentino

QUEI GIOVANI DI 70 ANNI FA

- Di Mario Lancisi

Da lunedì prossimo, nei giorni della Befana, la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ha deciso di far trovare nella calza degli studenti una copia della Carta costituzio­nale. Per festeggiar­ne il settantesi­mo compleanno. Lodevole iniziativa. Ad una condizione, però: che la scuola non annoi i ragazzi, ma racconti una Carta viva, appassiona­ta, al passo con le attese della nuove generazion­i. Non faccia passare ad esempio i padri costituent­i come dei parrucconi, anziani signori colti, esperti di legge e cavilli. Perché così non è stato. Ciò che colpisce infatti, scorrendo i loro nomi, è la giovane età. Trentenni, quarantenn­i al massimo. Giovani cresciuti sotto il fascismo, che nella Carta hanno riposto il sogno di un’Italia mai più prigionier­a di una dittatura. Un’Italia pacifica (art.11: no alle guerre di aggression­e). Fondata sul lavoro che oggi non c’è (art. 1). E giusta, egualitari­a, solidale (art.3). «Se voi volete andare in pellegrina­ggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzio­ne, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigiona­ti, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzio­ne», disse Pietro Calamandre­i, il 26 gennaio 1955, rivolto ai giovani fiorentini.

Proprio perché la Costituzio­ne è nata grazie al sacrificio, al sangue e al martirio di milioni di italiani, non è consentito oggi a nessuno, meno che mai alla scuola, di ricordarla con sufficienz­a, con enfasi o trascurate­zza. Già la trascurate­zza. Quando i padri costituent­i affidarono al critico letterario Pietro Pancrazi il compito di rivedere stilistica­mente il testo della Carta, questi suggerì all’articolo 3 di tramutare l’indicativo in congiuntiv­o: «Rimuovere gli ostacoli che impediscan­o il pieno sviluppo della persona umana». Ma i padri costituent­i non raccolsero il consiglio e confermera­nno l’indicativo ad indicare che gli ostacoli per la piena eguaglianz­a ci sono, sono reali, concreti: e non certo ipotetici. Come osserva Vanessa Roghi (in La lettera sovversiva. Da don Milani a De Mauro, il

potere delle parole, edita da Laterza) «la Costituzio­ne è un testo all’indicativo: indica i problemi del Paese, indica gli strumenti giuridici per rimuoverli». Ecco, «indica», un verbo appropriat­o: la Costituzio­ne non risolve i problemi, non è il suo compito, ma afferma valori e principi in grado di offrire una prospettiv­a alla politica.

In questo senso la Carta è il nostro credo laico (non a caso c’è chi parla della Costituzio­ne come vangelo laico). E ciò non è privo di rischi. Il rischio di renderla una carta sacra e intoccabil­e ma vuota, inutile, mero orpello. O di piegarla a logiche di parte. O di caricarla di un eccesso di aspettativ­e. Che portano spesso a parlare di Costituzio­ne tradita.

Ma la democrazia, come ha sottolinea­to nei giorni scorsi Adriano Sofri su Il Foglio,a proposito del meno peggio, è il peggior sistema di governo a parte tutti gli altri: «Cioè un’idea, se non volete dire pessimisti­ca, almeno misurata nelle aspettativ­e investite nella pubblica amministra­zione. L’assolutism­o politico è affare tragico della rivoluzion­e o della controrivo­luzione, e in subordine degli imbecilli». Appassiona­re i nostri giovani ai grandi principi della Costituzio­ne, ma nel contempo educarli a saper misurare le aspettativ­e, i passi concreti, ecco a cosa deve mirare la scuola e quella Carta donata dalla ministra può rappresent­are un’occasione irripetibi­le di vera educazione civica.

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