Chi sono e cosa serve ai 40 mila toscani colpiti da malattie rare
Rare, eppure tantissime: dal 2009 sono stati prese in carico del sistema sanitario regionale 46.800 persone affette da patologie rare, come l’intera popolazione di Scandicci o di Sesto. Di questi, quasi 14 mila sono casi pediatrici. E quando c’è bisogno di assistenza a domicilio, tutto è ancora più difficile.
Tre lettere a Babbo Natale, tre richieste precise al sistema sanitario toscano. Fuori dalla basilica di San Miniato al Monte, durante i funerali della piccola Sofia, ci sono tre cartelli dell’associazione Voa Voa: negli ospedali servono spazi riservati per i bambini affetti da malattie rare per garantire la loro privacy; per attuare i piani di assistenza individuali serve un «case manager» che faccia da coordinatore tra le tante figure sanitarie che seguono i bambini; e non basta la ricerca scientifica per trovare le cure, serve anche avanzare sulle cure palliative.
Dopo la morte di Sofia, il padre, Guido de Barros, al
Corriere Fiorentino aveva lanciato un grido d’accusa: per Sofia solo 45 minuti di fisioterapia a settimana, nessuna assistenza infermieristica domiciliare, tante eccellenze (medici, pediatri, infermieri, operatori, assistenti sociali) che come «prime donne» non parlano tra di loro. «Siamo stati abbandonati».
Ma qual è il quadro delle persone affette da malattie rare in Toscana, qual è il livello di assistenza a loro dedicato? Le malattie rare sono quelle che colpiscono non più di una persona su duemila. Ma ci sono patologie, come la leucodistrofia metacromatica di Sofia, che fa registrare appena un caso su 40 mila. «Sono rare, nel senso che colpiscono ciascuna poche persone, ma sono tantissime. È un mondo enorme » , spiega Fabrizio Bianchi, responsabile per la Fondazione Monasterio del registro che classifica tutti i casi di persone affette da malattie rare prese in carico dal sistema sanitario toscano: dal 2009 sono stati inseriti nel flusso 46.800 casi totali, come l’intera popolazione di Scandicci o di Sesto Fiorentino. Di questi, quasi 14 mila sono casi pediatrici. E delle migliaia di malattie rare che esistono nel mondo, in Toscana ce ne sono quasi 600. «La rete Toscana per le malattie rare è un’eccellenza, lo dimostra il fatto che più di 15 mila casi riguardano persone che non vivono nella nostra regione e che vengono qui a curarsi — spiega Bianchi — Ma l’assistenza è comunque complicatissima: non c’è casistica, a volte non ci sono specialisti, caso per caso bisogna inventare una soluzione nuova. E le cose si complicano, come per Sofia, quando la malattia è multisistemica e bisogna moltiplicare specialisti, infermieri, operatori, assistenti sociali, con costi altissimi».
Il registro ha il compito di fornire i dati che consentano di pianificare le risposte del sistema. E la Toscana negli ultimi 15 anni ha creato una rete molto ampia, con 193 sportelli d’accesso sul territorio (46 dei quali pediatrici) che permettono alla famiglia del malato di essere indirizzata nel centro specializzato per quella specifica patologia. L’ingresso
L’esperto È un mondo enorme, è complicatissimo riuscire a dare risposte Non c’è casistica, e ogni volta bisogna inventare soluzioni Le associazioni Le risposte in ospedale sono eccellenti, ma quando c’è bisogno di assistenza a domicilio diventa difficile ottenere cure palliative
nel sistema funziona, il problema sta nell’uscita: dopo il ricovero in ospedale, quando il paziente torna a casa, l’assistenza a domicilio non è sempre efficace. Paolo Biasci, presidente del Fimp, sindacato dei pediatri, spiega che «nessun altro Paese al mondo ha una rete pediatrica come quella italiana». Ma, a riprova della mancanza di collegamenti tra gli attori del sistema, ammette di sapere poco di come funzioni l’assistenza post ospedaliera. La rete regionale c’è, c’è persino un numero verde dedicato. Nell’assessorato regionale alla salute si riunisce una volta al mese il coordinamento sulle malattie rare, analizza i casi, i problemi, demanda ai coordinamenti delle singole Asl, che a loro volta pagano lo scotto di un sistema territoriale (i distretti, gli eredi delle società della salute) che ancora è solo abbozzato a due anni dalla riforma sanitaria. Così, «è una costante che il genitore debba fare da coordinatore del sistema», ammette Bianchi.
Le associazioni del Forum regionale sulle malattie rare fanno da cartina di tornasole: «I ragazzi — dice Luigi Lenzi Aliquò, del comitato famiglie talassemici — vengono curati, bene, in ospedale, non hanno bisogno di assistenza domiciliare». Diverso il giudizio quando la malattia stravolge il quotidiano: «I malati di neurofibromatosi hanno bisogno di assistenza domiciliare solo nei casi gravissimi — dice Michela Corradini — Ma quando succede bisogna arrangiarsi, è difficile trovare aiuto per le cure palliative e per la fase terminale». Sulla stessa linea Aisla: «Succede spesso che i malati di Sla debbano aspettare mesi prima di essere presi in carico dai servizi sociali».
La rete ancora non decolla, la ricerca sulle cure sì. Proprio dal Meyer arriva una speranza: «Abbiamo messo a punto un sistema di screening genetico neonatale per individuare prestissimo la leucodistrofia metacromatica — spiega Giancarlo La Marca — Al San Raffaele di Milano stanno lavorando a una terapia genica che potrebbe essere pronta entro il 2019. Il nostro screening assieme alla cura, che può funzionare solo se è precoce, potranno eliminare la malattia di Sofia».