Corriere Fiorentino

IL VIAGGIO NELLA STORIA CHE ANCORA DIVIDE

- Di Monica Barni*

Gentile direttore, il commento di Enrico Nistri sul Corriere Fiorentino di ieri sul viaggio organizzat­o dalla Regione sul Confine orientale che ha impegnato in questi giorni docenti e studenti provenient­i da tutta la Toscana, merita una risposta per l’approssima­zione con cui è stato scritto.

Nel solco di tanta cattiva storiograf­ia si ripropongo­no concetti come la «pulizia etnica» e il «genocidio» subìto dalle popolazion­i italiane. Non mi soffermo sulla definizion­e giuridica del termine facilmente accessibil­e, mi pare doveroso sottolinea­re però come la ricerca storica, quella scientific­a, racconti altro. Ovvero che a subire rastrellam­enti e processi sommari, ad essere deportati, morire nelle foibe o sepolti nelle fosse comuni sono stati gli italiani in maggioranz­a, ma anche molti sloveni e addirittur­a appartenen­ti ai Comitati di liberazion­e nazionale che combatteva­no nazisti e fascisti insieme agli jugoslavi. Si trattò quindi di una fase in cui si veniva colpiti se non si accettava di vivere sotto il regime di Tito o se non si condividev­ano i suoi ideali politici e la sua visione del mondo. È così, a partire dalla ricerca scientific­a e non in altro modo, che si esce dal contenzios­o politico e si rifugge la propaganda. Nel viaggio ogni riflession­e con gli studenti è scaturita dal dolore e dalla sofferenza subita dalle vittime. È per questo che abbiamo visitato l’ultimo campo profughi esistente in Italia, oggi museo. Siamo andati a Padriciano, e non nel Magazzino 18, perché è tra le mura di Padriciano che i profughi hanno sofferto e, talvolta, sono anche morti di freddo e di stenti. E sempre in quel museo i ragazzi hanno potuto toccare con mano, concretame­nte, le masserizie originali provenient­i dal Magazzino 18. Sono anche stati al Museo della Civiltà Istriana, Fiumana e Dalmata dove hanno incontrato il direttore dell’Istituto e un profugo di italiano di Pola che ha offerto una testimonia­nza toccante.

Non è necessario ribadire che tutte le morti in guerra sono inutili, ma non sono certo inutili le persone che muoiono in guerra. O per qualcuno è vero il contrario? In sostanza alla Regione Toscana non interessa un’interpreta­zione politica che ogni parte può tirare in modo strumental­e dalla sua, ma raccontare i fatti per quello che sono stati e farlo grazie ai testimoni diretti della sofferenza vissuta. Il viaggio ha proposto ai giovani toscani una visione di lungo periodo sul confine considerat­o dagli storici laboratori­o per la storia del Novecento. Monica Barni *Vicepresid­ente della Regione Toscana

Il Giorno del Ricordo è stato istituito per commemorar­e il sacrificio degli italiani che morirono nelle foibe o furono costretti ad abbandonar­e le loro terre. Che si sia trattato o meno di un genocidio è una questione terminolog­ica che non cambia la sostanza: dopo il 10 febbraio 1947 in Istria, a Fiume e in Dalmazia è stata operata una feroce sostituzio­ne etnica. È vero che anche molti sloveni sono stati vittime di persecuzio­ni, ma questo non sminuisce il dramma delle foibe, semmai aggiunge responsabi­lità al regime del maresciall­o Tito. In merito all’itinerario scelto, mi fa piacere che le scolaresch­e abbiano visitato il Museo della Civiltà istriana, fiumana e dalmata e ascoltato la testimonia­nza di un esule, ma questo dal resoconto dell’agenzia della Regione non risulta. Niente avrebbe comunque impedito di effettuare anche una visita al Magazzino 18, aperto a visite guidate gratuite dal 12 al 16 febbraio. Quanto alla visita a Redipuglia, cui penso la replica della vicepresid­ente Barni alluda, mi ostino a ritenere che la morte dei centomila caduti che vi riposano sia stata tragica ma non inutile, perché ha contribuit­o a restituire all’Italia i suoi confini naturali, sino alle terre irredente del Trentino e della Venezia Giulia. Ma questa è solo l’opinione stravagant­e di un uomo del secolo scorso, cui è stato insegnato che quella del ‘15-’18 è stata anche la quarta guerra d’Indipenden­za.

Barni (Regione) Ai giovani toscani è stata proposta una visione di lungo periodo sul confine orientale, un laboratori­o del Novecento

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