Sparò al ladro: prosciolto il carabiniere
Il giudice: non aveva altra possibilità di bloccare la fuga. Un’odissea lunga tre anni
Condannati a un anno e 8 mesi di reclusione, per resistenza, per i due albanesi che la sera del 29 ottobre 2014 tentarono di sfuggire a un posto di blocco dei carabinieri a Capraia e Limite dopo un furto. Prosciolto con sentenza di non luogo a procedere, per mancanza di querela, il capitano dei carabinieri che esplose alcuni colpi per tentare di bloccarli. Il legale: «Speriamo sia la fine di una vicenda assurda».
Dopo oltre tre anni dai fatti e quattro mesi di udienze, il giudice Marco Bouchard spiega che questo processo forse non andava mai fatto. «Non luogo a procedere, ritenuto l’eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi, per mancanza di querela», scrive il giudice riferendosi al capitano dei carabinieri Giuseppe Pontillo. Per lui il pm Concetta Gintoli aveva chiesto un anno e 4 mesi, accusandolo di lesioni volontarie. Condannati per resistenza invece Amarildo Hysa e Ermail Karaj a un anno e otto mesi, come aveva chiesto il pm: i due albanesi risultano latitanti. Il 29 ottobre 2014 i due albanesi più un loro connazionale, Mirijan Hisa (irreperibile), avevano appena messo a segno a Buti una rapina. Quella notte i carabinieri allestirono un posto di blocco ad una rotatoria a Capraia e Limite. Quando vide arrivare la macchina, il capitano Pontillo, che si trovava in piedi sulla rotatoria, intimò l’alt con la pistola. Per tutta reazione l’albanese usò la vettura «certamente come arma impropria» e accelerò: il capitano rischiò di essere investito. Dalla sua pistola partirono due colpi. Uno ferì gravemente Amarildo Hysa, l’altro invece raggiunse la gamba del capitano stesso. «Particolare tutt’altro che secondario, mai chiarito dalla Procura», scrive Bouchard. La Procura aveva messo sotto inchiesta l’ufficiale, difeso dall’avvocato Umberto Schiavotti, per lesioni volontarie. Secondo la pm i due albanesi «erano semplici topi d’appartamento immeritevoli di un posto di blocco». Il giudice ricorda che nella perquisizione della loro casa furono trovati «50 pallottole calibro 7,65»: durante il processo è emerso che il conducente ferito, Amarildo Hysa, una volta messo all’obbligo di firma a Brescia, fu sorpreso nel Nord durante un furto e colpì alla testa un poliziotto che aveva bloccato un complice.
Per la Procura il capitano Pontillo, quella sera, «aveva perso la signoria del suo cervello (...): si è trovato di fronte al finestrino e ha sparato dentro all’impazzata, cercando di farne fuori uno». Per il giudice «si tratta di un’ipotesi totalmente infondata: il movimento improvviso e lo sparo in posizione instabile hanno provocato la caduta della quale venne esploso, questo sì accidentalmente, il secondo colpo». Le perizie balistiche confermano che Amarildo Hysa fosse alla guida del mezzo, perché «non è possibile prendere in considerazione l’ipotesi formulata dalla Procura», cioè che a guidare il mezzo fosse un altro dei suoi connazionali. Per il giudice Bouchard «la decisione del capitano Pontillo di presentarsi come pedone armato al solo fine di disorientare il conducente del Berligno» fu improntata a «pura spavalderia». Anche se, secondo il giudice Bouchard, non vi è dubbio che l’ufficiale non avesse altro mezzo per impedire la fuga. «Vicenda paradossale — ha detto l’avvocato Umberto Schiavotti, difensore di Pontillo — Questo processo non si sarebbe dovuto fare: a giudizio sono finiti tre pericolosi malviventi stranieri che fuggivano dopo una rapina e un capitano dei carabinieri, colpevole di aver cercato di fermarli. Speriamo si chiuda definitivamente un periodo di grande sofferenze».