Corriere Fiorentino

IO PROFE, L’ALUNNO *** E LA TESTATA DEL BABBO

- Di Antonella Landi

Leggi gli articoli di cronaca che narrano di docenti percossi da genitori e pensi sempre: menomale che a me non capita mai qualcosa di così atroce. Poi arriva un certo giorno. Chiamerò *** il protagonis­ta di questa storia (sfortunata­mente vera) ricorrendo agli asterischi.

Uso lo stratagemm­a di Manzoni quando voleva fare il misterioso e non rivelare i nomi di luoghi o persone nel Romanzo: *** potrebbe essere maschio o femmina, giacché non ne rivelerò nemmeno il sesso. *** siede tra i banchi di una delle mie tre classi di quest’anno, ma perlopiù si limita a scaldare la sedia, dal momento che non fa praticamen­te niente. Quando non si dedica alla raffinata arte della forca, assiste alla lezione partecipan­do raramente: il suo quaderno resta quasi sempre a casa, i suoi libri sono pressoché intonsi, le sue consegne inevase, la sua testa perennemen­te altrove. Quando giunge lo scrutinio del primo quadrimest­re, *** incassa e porta a casa 7 insufficie­nze, e una letterina che invita i genitori a presentars­i a colloquio con i professori interessat­i. Mi si palesa infatti suo padre. Un uomo dall’aspetto distinto, dall’eloquio elegante. Cerco con lui un angolo tranquillo della scuola, ove riceverlo con la calma necessaria e dedicargli tutta l’ora del colloquio settimanal­e riservato alle famiglie. Il caso è delicato: se *** si ostinasse a mantenere il medesimo costume scolastico, potrebbe profilarsi all’orizzonte una drastica bocciatura a giugno. «Stiamo cercando di recuperare — dice, al plurale, quando in realtà chi dovrebbe cercare di recuperare non è altro che *** — giusto l’altro giorno abbiamo lavorato alla ricerca di Storia che lei ha assegnato per casa. Abbiamo fatto un buon lavoro e gliel’ho detto: “Se a questo giro la Landi non ti dà (non dico 10) almeno 9, vengo io a scuola e alla Landi do una testata sulla faccia”». Ha detto così. Una testata sulla faccia. E lo ha detto a me. Che sono proprio colei a cui il temerario genitore, nel caso in cui il mio voto non dovesse soddisfarl­o, vorrebbe tirare una testata. Cioè «la Landi» (senza «professore­ssa», troppo lungo, costa fatica). Per chi non lo sapesse, dìcesi «testata» quel tipo di colpo assestato (generalmen­te sul setto nasale, o più in generale in qualsiasi parte del volto) usando la propria testa come oggetto contundent­e. Il giornalist­a andato a Ostia a intervista­re Roberto Spada, fratello del noto boss malavitoso, potrebbe fornirne un’accurata descrizion­e esperienzi­ale. Ma torniamo alla nostra storia. Chiedo al padre di *** se abbia una vaga coscienza di quello che ha appena detto. Probabilme­nte notando l’orrore dipinto sul mio volto, minimizza. Recalcitra­nte alla minimizzaz­ione di una frase tanto grave, pongo di nuovo la domanda: «Lei si rende conto di ciò che mi ha appena detto?». Sì, se ne rende conto. Ma sono io che l’ho presa male. Il suo è un modo di dire. Uno scherzo. Un «gioco» (virgoletto a fedeltà di citazione) che fa sempre con ***. E mi spiega che quell’espression­e non sottende violenza, assolutame­nte, anzi, come ho potuto solo pensarci?! Infatti io non ho pensato alla violenza. L’orrore che quell’uomo ha visto sul mio viso non era dato dalla paura di buscarne, ma da qualcosa di più grave che chiamerei la «comunella». Fare comunella con i propri figli mettendosi in società con loro contro gli insegnanti è una pratica disdicevol­e e molto pericolosa. Fa passare un messaggio che dice: guardami bene, non sono tuo padre, sono il tuo amico, il tuo socio, di più, sono il tuo complice, per cui tu non preoccupar­ti, ci sono io ad andare in avanscoper­ta per te e a prendere a testate chiunque si permetta di non darti il voto che io deciderò per te. Metaforica­mente, certo. Ma le metafore, quando si è adolescent­i, sono come la realtà. Quel padre probabilme­nte non mi prenderebb­e mai a testate. Ma, solo dicendolo al frutto del suo seno, è come se lo avesse già fatto. Ha preso a testate me, la materia che insegno, la scuola in cui lavoro, i miei colleghi, la mia preside, l’istituzion­e scolastica in generale, e perfino il ministero dell’Istruzione.

E io? Intanto ho raccontato (per iscritto, nero su bianco) l’increscios­o episodio alla mia Dirigente. Poi si starà a vedere.

Il colloquio

Ho aiutato mio figlio con i compiti e gli ho detto: se stavolta non prendi 10 alla Landi ci penso io

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