Corriere Fiorentino

LE PAROLE SBAGLIATE

- Di Alessio Gaggioli

Tutti i giorni per pranzo c’era un tavolo libero per lui. Accanto alla porta. Sempre lo stesso. Tutti i giorni per 17 anni nell’enoteca di San Niccolò c’era un bel piattone di spaghetti al pomodoro o al ragù per Idy. Tutti i giorni Idy passava le sue giornate in Oltrarno. Doveva vendere le sue cose, ma non era solo un ambulante. Era un personaggi­o. Era diventato parte della città, quella più vera. Della città dei fiorentini.

Di quei fiorentini che ieri non volevano credere che l’uomo ucciso a caso sul Ponte Vespucci fosse proprio lui. Il nostro Antonio Passanese ha trascorso una giornata in Oltrarno con la foto di Idy. Lo hanno riconosciu­to tutti. Increduli. Un commercian­te solo dopo ore è riuscito a raccontarc­i di lui e di quel senegalese, uno dei più anziani in Toscana, che passava ogni mattina dal suo negozio. Ci ha parlato di quel giorno in cui hanno pianto assieme perché Idy aveva saputo che la madre del negoziante era morta. Dolore condiviso, la nascita di un’amicizia. Una delle tante storie che testimonia­no il legame con la città. Idy era uno a cui volere bene. Firenze gli voleva bene.

Certo, aveva vissuto anche lui sulla sua pelle la strage del dicembre 2011 quando il fascista Gianluca Casseri aveva ucciso a sangue freddo Samb Modou e Diop Mor. Idy era parente di Samb, aveva riportato lui stesso la salma in Senegal. Aveva paura di tornare in Italia, a Firenze. La città che lo aveva accolto e in cui tutti i giorni veniva in treno da Pontedera. Aveva paura ma qui era rimasto. Perché Firenze non è razzista. Firenze accoglie. Firenze ha ricordato e ogni anno onora le vittime della strage di piazza Dalmazia. Firenze ha un palazzo dello sport intitolato a Mandela. Firenze è la città del dialogo interrelig­ioso. Firenze va rispettata. Per la sua storia, per il suo spirito.

Lo dovrebbe sapere bene Pape Diaw che di Firenze è stato anche Consiglier­e comunale e che per i senegalesi è un punto di riferiment­o da anni. Una responsabi­lità enorme che ieri Diaw non ha saputo o voluto gestire. Le sue parole contano e dalle sue parole è cominciato il pomeriggio di tensione: «Non voglio sentire parlare di un pazzo fuori di testa. Quello che ha sparato è un razzista, è un fascista. Non ci devono dire che è un pazzo». Il fiorentino che ha sparato a Idy non è un fascista. Forse nemmeno razzista. Le parole di un leader possono scuotere, rasserenar­e. O, come successo ieri, fomentare. Le sue sono diventate un boomerang. Un assist per gli estremisti che hanno avuto modo di puntare il dito «contro i senegalesi violenti». Giovani ragazzi, spaventati, distrutti dal dolore, a cui forse ieri è mancato non solo il rispetto per la città che li ha accolti. Ma anche un vero leader.

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