Le liti coi vicini e quei fucili «C’è chi si droga, io sparo»
Nel palazzo popolare di viale Aleardi i rapporti tra condomini sono tesi. E Roberto Pirrone non era un vicino facile. Taciturno, riservato, parlava quasi solo con i suoi cartelli appesi nell’androne. «Sputare, gettare gomme sulle scale sono gesti da incivili maleducati irrispettosi degli spazi comuni! Vi piacerebbe se lo facessero a casa vostra? Vergogna!». «Per i postini: si prega di non lasciare i pacchetti postali in terra o appesi alle cassette postali per evitare furti!». Di quell’isolato di case popolari, Pirrone era stato per anni un portavoce, una specie di amministratore di condominio ufficioso. Ma dopo una discussione aveva deciso di mollare. «Litigava con tutti, nulla di grave, ma aveva sempre da brontolare per un nonnulla», dice una vicina.
Ma nessuno, neppure chi lo considerava «un po’ strano», aveva nulla da temere da quell’omone vestito sempre con una sahariana militare e amante delle armi. Chi lo conosce racconta che è buddista. E dentro la sua auto, in mezzo ai pelouche, c’è persino un nastro colorato col simbolo dei pacifisti. Ogni mattina alle otto, l’operaio tipografico in pensione usciva di casa per portare fuori la sua cagnolina, Alice, con cui passava le ore ai giardini di Santa Rosa. Così, gli altri proprietari di cani descrivono il ritratto di un uomo «educato, buono, gentile», che al massimo aveva il gusto dell’iperbole per i problemi di salute legati al suo sovrappeso. «Mi aveva raccontato che aveva delle armi a casa, ma per lui era un hobby, andava a sparare al tiro a segno di Lastra a Signa», racconta un amico che assicura che Roberto sia «di sinistra».
«Ho un altro fucile e tre pistole: è un hobby come un altro… c’è chi va a pregare e chi si droga», scriveva su Facebook sotto una foto in cui imbraccia il fucile. Ma il suo tarlo erano i soldi. Pensionato lui, pensionata la moglie, ex operaia tessile a Prato («pensioncine minuscole», raccontano), con la figlia che vive con loro e si sta specializzando come infermiera, la famiglia Pirrone vive in quella casa popolare da più di 40 anni. «Hanno persino due auto», dice chi li conosce. In casa, al secondo piano, la moglie e la figlia si chiudono a riccio. Sono affrante. La giovane, lo ha raccontato ad un’amica, è doppiamente distrutta: è di sinistra e, oltre a rendersi conto che la sua famiglia è in frantumi, non si dà pace per il gesto del padre e per la tragica sorte di Idy Diene.
«Com’è stato possibile?», dicono i vicini, che si interrogano sui debiti di Pirrone. Qualcuno ipotizza che fossero legati a problemi di salute, altri assicurano che non aveva vizi. Pirroni, spiega un conoscente, avrebbe continuato a collaborare con la tipografia di cui era dipendente, «quando c’era qualche lavoretto, per arrotondare». Un’amica delle mattinate al parco arriva sotto le finestre dei Pirrone, ma ci ripensa: «Volevo dare una carezza a quella povera donna… ma non so se è il caso. Come ha fatto lui a perdere la testa, a ammazzare un uomo?».
Per strada «Discuteva con tutti, ma niente di grave» Si vedeva spesso a passeggio con il suo cane»