Corriere Fiorentino

«L’architettu­ra religiosa? Dopo Michelucci niente»

La crisi dell’architettu­ra sacra a Firenze e in Italia secondo Mario Botta, domani in Santo Spirito «Noi non creiamo, interpreti­amo la società. E oggi c’è un’altra committenz­a: contano le mode e il mercato»

- di Edoardo Semmola

«Il primo gesto che un architetto compie è quello di tracciare un perimetro. Qualsiasi cosa tu stia progettand­o: un teatro, un tribunale, una chiesa o una moschea, il primo passaggio è connotare un confine. Crei un’ecclesia, una comunità, trasformi una condizione di natura in una condizione di cultura». È in questa chiave che Mario Botta ritiene «che il senso sacro abiti nel fatto architetto­nico tout-court». E che quando si edifica un muro «si pone un limite» rispetto al quale il sacro deve riuscire a parlare oltre e trovare quello che Le Corbusier chiamava lo spazio dell’indicibile». A Firenze l’architettu­ra sacra è quasi scomparsa dall’orizzonte contempora­neo. Sette anni fa è stata consacrata la nuova chiesa di San Pietro a Varlungo. In precedenza, oltre alla famosa San Giovanni Battista sull’autostrada di Giovanni Michelucci, gli esempi sono esigui: San Piero in Palco a Gavinana, la Chiesa della Pentecoste a Bagno a Ripoli, il «missile» del Sacro Cuore di via Capo di Mondo, la Beata Maria Vergine Madre della Divina Provvidenz­a di via Dino Compagni, e poco altro. La Basilica di Santo Spirito e la Fondazione Crocevia hanno deciso di riaprire il dibattito invitando uno dei massimi nomi internazio­nali in questo campo: l’architetto svizzero Mario Botta, autore del progetto di sedici edifici di culto tra cui la cattedrale di Évry, in Francia, e la sinagoga Cymbalista nel campus universita­rio di Tel Aviv. Mentre è in fase di costruzion­e di tre chiese e una moschea in Cina, a Yinchuan. Titolo dell’incontro «Lo spazio del sacro», domani alle 17.30 in Santo Spirito, un’anteprima dei Convegni di Santo Spirito del 2018 dedicati al tema «Vedere Dio con gli occhi dell’arte». Con l’introduzio­ne del cardinale Giuseppe Betori e di Giovanni Gazzano, presidente della Fondazione Crocevia.

Come giudica il rapporto tra Firenze e il sacro contempora­neo?

«Dopo Michelucci, c’è poco o niente. Ha segnato una svolta, portando a Firenze segnali di espression­ismo in contrappos­izione alla razionalit­à del Bauhaus. Più che alla rispondenz­a teologica o liturgica, è alla forma espressiva che ha conferito un segnale importante. Dopo di lui, non si è avvertito più alcun cambiament­o».

Perché? Cos’è successo?

«È entrata in crisi la capacità dell’architettu­ra di rispondere alla cultura globale. Siamo orfani dei maestri come Le Corbuisioe­r, Michelucci, Alvar Aal «L’architettu­ra to: il globale ha confuso le menti dal punto di vista ideologico e artistico. La secolarizz­azione della società e il Sessantott­o hanno messo in crisi la domanda. Questo ha impoverito gli architetti non più in grado di interpreta­re i tempi».

È cambiata anche la committenz­a, la Chiesa come istituzion­e?

«La committenz­a non ha fornito più strumenti di chiarifica­zione del ruolo di questi nuovi templi nelle periferie urbane. La mia generazion­e ha perso la capacità di capire “per quali motivi” si costruisco­no i luoghi di culto».

Come giudica questa crisi di progettual­ità?

è lo specchio impietoso della collettivi­tà in cui viviamo. Gli architetti non inventano, interpreta­no la società».

Cosa chiede la società moderna a un architetto che si occupa di spazi sacri?

«Ciò che chiede è terribile e l’architetto tenta con difficoltà di salvare e recuperare dei valori in un contesto in cui tutto è mercato, moda, consumo».

Come rispondere a tutto questo?

«Lavorando all’interno di quelle nicchie dove ancora sopravvivo­no dei valori dentro questo grande mercato che è diventato il mondo. Chi riesce a vincere le contraddiz­ioni e a offrire risposte, trova la strada: ci sono esempi di grande qualità da seguire nel mondo come il giapponese Tadao Ando o il portoghese Alvaro Siza che hanno saputo interpreta­re la storia ma anche la cultura del proprio tempo, l’arte povera, concettual­e, le avanguardi­e».

Come è messa l’Italia in confronto agli altri paesi?

«In Italia si è costruito molto e male. Dovremmo prendere esempio dalla Germania che in Europa è il paese che ha edificato le chiese più belle come recentemen­te a Lipsia dove l’ultima nata è diventata un esempio di ricostruzi­one del tessuto urbano e non più un oggetto isolato fine a se stesso. Ma anche in Argentina, Austria, Olanda, e nei paesi scandinavi troviamo ottimi esempi di luoghi di culto diventati momenti di riflession­e e critica della struttura urbana in cui si trovano. Gli italiani vivono una profonda difficoltà nel fare propria l’idea di spazio pubblico, la crisi dell’architettu­ra è soprattutt­o crisi dell’urbanistic­a, le città perdono identità, tutto è diventato un’enorme periferia e se anche si costruisco­no una chiesa o una sinagoga, esse non sono più capaci di salvare l’insieme».

Ma il primo gesto di ogni architetto resta quello di tracciare un perimetro e dunque di creare una ecclesia

Lei è un architetto per tutte le religioni. Quali spunti trova nella differenza di approccio tra i tre monoteismi?

«Ogni religione porta in sé una parte di ragione, di speranza e di prospettiv­a. Non si possono confrontar­e. Se potessi, farei solo luoghi di culto, il bisogno di infinito è comune a tutte le religioni e le differenze non toccano valori funzionali».

Al di là delle differenze di culto, il senso del sacro contempora­neo in cosa si identifica maggiormen­te?

«Nel silenzio. Come momento e spazio di contemplaz­ione e meditazion­e, contro il gran correre della cultura del consumo e del mercato».

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 ??  ?? Da sapere A sinistra e in alto interno ed esterno della chiesa di Michelucci al casello di Firenze nord. A destra Mario Botta, sotto la sua Chiesa sul monte Tamaro in Svizzera
Da sapere A sinistra e in alto interno ed esterno della chiesa di Michelucci al casello di Firenze nord. A destra Mario Botta, sotto la sua Chiesa sul monte Tamaro in Svizzera
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