Corriere Fiorentino

UNA POLITICA DOUBLE FACE

- Di Paolo Ermini

Firenze ha fatto da paradigma di un sistema politico colpito da febbre alta. Gli effetti del 4 marzo li stanno vedendo tutti: rigettata la legge elettorale pensata dal governo Renzi, che secondo gli avversari avrebbe consegnato il Paese a un regime semiautori­tario, ora siamo alla paralisi: i due semivincit­ori delle elezioni (Di Maio e Salvini) non hanno i voti sufficient­i per formare un governo. Vogliono, ma non possono. E allora sperano che sia un Pd strabattut­o (e anche molto sbattuto) a dare sangue alla patria. Il Pd, proprio il Pd, cioè il partito più attaccato da Cinque Stelle e Lega durante la campagna elettorale. Che cos’è? Improvvisa­zione? Commedia dell’arte?

Il teatrino per la verità aveva già aperto i battenti prima del verdetto elettorale. Proprio qui, a Firenze. I big delle opposizion­i erano venuti tutti (tranne Berlusconi) nella capitale del renzismo. Non per sfidare davvero il segretario dei Democratic­i nel suo collegio, a colpi di schede, ma per dare più visibilità al lancio metaforico del guanto, da far vedere nel resto del Paese. Qui più che altrove, insomma, avevamo assistito a una battaglia elettorale da maggiorita­rio, non da proporzion­ale: attacchi durissimi, e poi chi vince vince e chi perde perde. Ma il Rosatellum, guarda un po’, era congegnato affinché non vincesse nessuno. E così gli attacchi ora hanno lasciato il posto alle avances, più o meno sconclusio­nate, segnatamen­te verso il Pd. Che sembra volersi negare, almeno finora.

Renzi è il grande sconfitto delle elezioni, insieme con Berlusconi, e quando una sconfitta è così netta non c’è scusante che tenga: vuole dire che sono stati decisivi gli errori commessi. Ma il Pd, chiunque sarà il nuovo segretario, farebbe un errore ancora più clamoroso, e forse letale, se svendesse la sua identità di forza riformatri­ce per andare a trattare con i suoi nemici più strenui. Che c’entra il centrosini­stra con la battaglia anti euro, con lo sfondament­o del deficit, con la flat tax, con il reddito di cittadinan­za e con la crociata contro lo straniero? Promesse in gran parte irrealizza­bili, come hanno ricordato ieri Francesco Giavazzi e Alberto Alesina sul Corriere della Sera. E allora perché mai un altro partito, negoziando, dovrebbe fornire l’alibi per l’abbandono di progetti lunari?

Vedremo già domani, con la riunione dell’Assemblea, che rotta prenderà il Pd senza Renzi. A Roma, ma anche in periferia. Dove in primavera il centrosini­stra rischia di perdere altri Comuni (qui si voterà a Pisa, Siena, Massa). E poi si aprirà la partita delle elezioni regionali.

È l’altro paradigma fiorentin-toscano. La maggioranz­a che regge il governo regionale si regge sul Pd e sulle forze che alle elezioni si sono presentate sotto la sigla LeU. Con un obiettivo prioritari­o: far perdere Renzi. Missione compiuta, solo che Liberi e Uguali ha scosso l’albero e raccolto pochissimo. E ora? Rossi veniva indicato come probabile candidato alle Europee dell’anno prossimo. La gelata di domenica scorsa ha cambiato lo scenario. Ma pensare che il governator­e Rossi e il Pd possano andare avanti come se nulla fosse, solo per rinviare il più possibile elezioni che potrebbero perdere, sarebbero risibile. E dannoso per entrambi. Per la Toscana, soprattutt­o. Se questa è la regione che più di ogni altra concede ancora fiducia al centrosini­stra, forse è qui che il centrosini­stra può cominciare a ripensare se stesso. Non per tornare alle formule del Novecento, ma per tentare di scommetter­e diversamen­te sul futuro. L’alternativ­a non è l’immobilism­o, ma la sparizione in un sistema che è uscito sconvolto dal voto degli italiani, che hanno scelto altri primi attori. Non è affatto detto che il sommovimen­to sia finito...

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