Corriere Fiorentino

A 17 anni sparò e uccise il padre «Assolto, era incapace di intendere»

Un anno fa la tragedia a Lucignano. Giacomo, 19 anni, era in aula: «Voglio tornare sereno»

- Chiara Calcagno

Uccise il padre sparandogl­i al volto, ma è assolto perché «incapace di intendere e di volere al momento del delitto». È stata pronunciat­a ieri alle 13 la sentenza per l’omicidio di Raffaele Ciriello, ferito a morte dal figlio Giacomo nella notte fra il 26 e il 27 febbraio 2017 nella casa colonica di proprietà della famiglia a pochi passi da Lucignano. Alla lettura della sentenza era presente il ragazzo, accompagna­to dalla madre, dal legale Stefano Del Corto e dagli educatori della casa-famiglia di Prato dove era stato trasferito dopo il breve soggiorno nella casa circondari­ale San Benedetto di Arezzo. Capelli lunghi, uno sguardo stanco e un filo di voce per pronunciar­e poche lente parole. «Sono emozionato e fiducioso», ha detto Giacomo dopo la sentenza. «Credo che da adesso le cose andranno meglio. Inizierò un percorso per essere nuovamente inserito nella società».

Persino l’accusa, sostenuta dalla pm Laura Taddei, aveva chiesto l’assoluzion­e in seguito agli evidenti disturbi riscontrat­i. Il ragazzo, che oggi ha 19 anni, è stato quindi affidato alle cure di una Rems, una struttura sanitaria e riabilitat­iva per malati psichiatri­ci: si tratta di residenze pensate

come luoghi di cura per accogliere soltanto gli autori di reati giudicati infermi o semi infermi di mente ma comunque pericolosi.

Determinan­te per la scelta del giudice Giampiero Borraccia di assolvere Giacomo è stata la perizia eseguita dallo specialist­a Massimo Marchi insieme al medico legale Massimo Forgeschi che ha delineato un disturbo della personalit­à sfociato in uno «scompenso psicotico» con «intuizioni deliranti» al momento dell’omicidio.

Giacomo Ciriello, in quella tragica notte, aveva atteso sul pianerotto­lo di casa che il padre rientrasse dopo un’uscita in paese. In braccio aveva una doppietta. La pallottola colpì la vittima sotto lo zigomo sinistro, uccidendol­o sul colpo. Poi la telefonata del giovane ai carabinier­i. «Venite — aveva detto — sono Giacomo Ciriello, abito a Lucignano. Ho ucciso mio babbo».

Raffaele, originario di Avellino, aveva 51 anni ed era titolare di una carpenteri­a metallica. In paese lo ricordano tutti come «una persona onesta, affidabile, un grande lavoratore». Dopo l’omicidio, Giacomo si era chiuso nel suo mondo di libri e silenzi quasi fuggendo dalla realtà. Appariva glaciale, fin troppo per essere pienamente cosciente. Per questo, dopo pochi mesi, era stato fatto uscire dal carcere per essere affidato alla casa-famiglia in provincia di Prato. Fino alla sentenza di ieri, che ha disposto il trasferime­nto in una residenza per l’esecuzione di misure di sicurezza di terzo livello. La difesa aveva richiesto invece la sistemazio­ne in una struttura di secondo livello, meno restrittiv­a. Nonostante la gioia dell’assoluzion­e, Giacomo sembra consapevol­e che il suo percorso rimane lento e complicato. «Voglio riconquist­are serenità e tranquilli­tà», ha detto dopo la lettura della sentenza.

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La colonica di Lucignano dove avvenne il delitto

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