Alle vittime prometteva la Serie A «Tante voci, lo cacciai dal campo»
Ex allenatore, millantava conoscenze con club professionistici
Piero Costia, 75 anni, ha giocato a calcio per anni in varie squadre dilettantistiche della Toscana. E una volta appesi gli scarpini al chiodo, ha iniziato a girare per i campi delle squadre della provincia di Pisa, dicendo di essere un talent scout di una società di serie A.
Forte della conoscenza dell’ambiente calcistico, negli ultimi otto anni è riuscito ad adescare quattro giovani vittime nella sua trappola (almeno questi sono i casi accertati). Usava sempre la stessa trappola: la promessa di un provino in una squadra professionistica. Il sogno di tutti i ragazzini che guardano passare in tv le immagini di Messi e Ronaldo. A finire nella sua rete, spiega il capo della squadra mobile Rita Sverdigliozzi, «stranieri in situazioni di disagio socio-economico che all’epoca delle violenze sessuali avevano all’incirca tredici anni, dei bambini. L’orco li ha incontrati al parco, per strada, sulla panchina, promettendo loro un ingresso nel mondo del calcio. E quando questo sogno non si avverava li attirava con l’acquisto di un gelato, una sigaretta».
Costia è molto conosciuto in periferia e la notizia del suo arresto ha generato scompiglio nei club dilettantistici della città, i cui titolari sono stati ascoltati dalla Questura nelle ultime settimane: «Sì, lo conosciamo, diceva di essere un osservatore, millantava contatti con società di alto livello senza specificare quali. Era noto a tutti col soprannome “la pea”», dice un uomo che preferisce rimanere anonimo.
Il gestore di un’associazione sportiva dilettantistica della periferia di Pisa racconta che «si è presentato al mio campo per tre volte nel 2015, sono stato l’unico a buttarlo fuori perché sul suo conto correvano voci che non mi piacevano. La prima volta mi disse che era venuto a vedere il nipote giocare, la seconda a salutare un amico e la terza gli ho detto chiaro e tondo che non aveva titoli per essere nella mia struttura e che se l’avessi rivisto lì lo avrei preso a calci nel culo fino a sfondarlo. Bisognerebbe avere il coraggio di denunciarle queste cose, non si può aspettare la morte di un ragazzo di diciannove anni».
Il riferimento è a Nicolay Vivacqua, morto il 21 dicembre scorso, investito da un treno dopo aver dato fuoco all’auto di Costia. «Era un bravo ragazzo, con problemi emotivi. L’arresto di ieri spiega molte cose». E in questo quadro ri-
suonano ancora più angoscianti le parole pronunciate da don Roberto ai funerali di Nicolay. «Avevo sollecitato un momento di silenzio perché troppe chiacchiere erano state dette su questo giovane, senza neanche conoscerlo — afferma il sacerdote — non mi aveva confidato questa terribile cosa. Nicolay portava dentro un’inquietudine, cercava un equilibrio affettivo, era inevitabile che qualcuno si approfittasse della sua debolezza. Era bistrattato e incompreso, ma voleva mettere ordine nella sua vita. In passato una persona abominevole lo aveva importunato, nell’omelia mi riferivo anche a questo. Questa notizia dà giustizia a Nicolay, lo riscatta, quel gesto era un grido di ribellione». Gli inquirenti temono che ci possano essere altre vittime e lanciano un appello: «Denunciate».
Il capo della Mobile «Adescava stranieri intorno ai 13 anni in situazioni di disagio socio-economico. Li individuava per strada o al parco»