I fiori-modello di cento anni fa E un appello: non facciamoli appassire
I fiori di Brendel sembrano veri ma furono fatti con materiali sintetici oltre 100 anni fa Adesso vanno restaurati: la responsabile della collezione Donatella Lippi lancia un raccolta fondi
Un grande prato fiorito, che conta oltre 180 specie diverse. Non serve immaginare di essere in un parco o in giardino botanico. Sembrerà strano ma questo prato vive e sboccia — da più di cento anni — negli spazi chiusi della Fondazione Scienza e Tecnica (via Giuseppe Giusti, 29). È un prato speciale dunque, che vive indoor e non profuma, ma è realizzato con una tale dovizia di dettagli da sembrare vero. Sono quasi due centinaia i modelli di fiori e piante conservati alla Fondazione e realizzati a fine Ottocento dalla manifattura berlinese di Robert e Reinhold Brendel che oggi rischiano di «appassire» inesorabilmente, complice l’incedere del tempo che, anche per un fiore di cartapesta a volte è deleterio.
È la stessa direttrice del museo, la professoressa Donatella Lippi, a lanciare un appello per il suo prato preferito. «Sarebbe un delitto vedere deteriorarsi questi manufatti straordinari — spiega — Hanno bisogno di un restauro accurato, sono una testimonianza preziosissima oltre a essere delle piccole, dettagliate opere d’arte. Ne abbiamo già ripristinate una parte grazie alla generosità della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze e di altri enti, ma mancano ancora all’appello una quarantina di fiori, per un totale di 4mila euro necessari». Quattromila euro dunque, per un’operazione che non ha niente a che vedere con la piantumazione e il giardinaggio ma che piuttosto richiede l’intervento certosino dell’equipe di restauratori dell’Opificio delle Pietre Dure. Sono proprio i tecnici del celebre istituto fiorentino di restauro a essere stati incaricati dalla Fondazione di prendersi cura di una parte Da vedere Alcune dei fiori della collezione Brendel custodita alla Fondazione Scienza e tecnica di Firenze dei fiori realizzati da Brendel. La restante parte, è «in lista d’attesa» e aspetta di essere aiutata, per questo la Fondazione ha lanciato la campagna «Adotta un fiore» (www.fstfirenze.it/adotta-un-fiore/) con un codice Iban a cui è possibile fare le proprie donazioni. «Tengo moltissimo a questi manufatti — continua Lippi — sono un esempio di come Firenze custodisca piccoli tesori poco conosciuti ma di grande valore».
Ma a che scopo nasce questa collezione fiorentina? Sono oggetti realizzati davvero con minuzia certosina, utilizzati fino al Novecento per lo studio dell’anatomia, della morfologia vegetale e della botanica all’interno del dipartimento di biologia evoluzionistica. Robert Brendel e suo figlio Reinhold erano maestri nella creazione di questi oggetti dell’altezza di circa 60 centimetri l’uno, realizzati utilizzando materiali diversi (gomme vegetali rinforzate con fibre, tela di cotone gessata, collagene animale, legno rattan, piume, fili metallici, fibre di origine animale) e talmente verosimili da rappresentare un enorme patrimonio e una grande possibilità per chi li utilizzava per studiare le caratteristiche dell’universo vegetale. Con una base in legno, gran parte dei fiori sono smontabili, in modo da essere visionati pezzo per pezzo, sezione per sezione. La tedesca Brendel era specializzata nella produzione di questi oggetti che vendeva per corrispondenza tra metà Ottocento fino ai primi del Novecento tant’è che tracce fiorite si trovano sparpagliate nei musei e nei laboratori di mezza Europa (dall’Inghilterra al Galles alla stessa Germania fino al Bel Paese) e in alcuni Paesi extraeuropei, dove venivano utilizzate dagli studiosi, per capire struttura e funzionamento delle piante utilizzate in agricoltura e in ambito medico. E non è sbagliato definirle delle vere opere d’arte, tant’è che se si prova a cercare online traccia dei manufatti firmati Brendel se ne trovano diversi archiviati in gallerie d’arte specializzate, che riforniscono le collezioni di appassionati del genere. «Il mio preferito è un fiordaliso coloratissimo — continua Donatella Lippi — ma ci sono fiori sorprendenti, creati con una una cura che incanta chi li guarda. Alcuni particolari, come la lanugine di alcuni petali o la parte quasi spugnosa di alcune muffe è così realistica da sembrare davvero vera». Insomma, è «Una collezione bellissima, che meriterebbe un po’ di attenzione in più. La parte che abbiamo restaurato è visibile a chi visita la Fondazione Scienza e Tecnica» i restanti quaranta «convalescenti» sono in attesa di essere guariti e di ritrovare i loro colori e la brillantezza originali, attraverso un restauro conservativo. «Lanciamo un appello per far sì che amanti e appassionati adottino un fiore» e si assumano l’onere di pagarne le cure, per restituirlo alla collettività. È l’unico modo per vedere di nuovo questo prato sui generis sbocciare tra le sale della Fondazione. E poco importa se non profumano, l’odore davanti a tanta bellezza, diventa un dettaglio. E probabilmente Robert Brendel e suo figlio, esperti di un’arte estinta, maestri nel dare vita a oggetti inanimati, questo lo sapevano bene.
Modelli per la ricerca Venivano utilizzati dagli studiosi, per capire funzionamento e struttura delle piante usate in agricoltura e in ambito medico