L’ARGINE DI ROSSI AI CINQUESTELLE
In una parte della sinistra e del Pd c’è la tentazione di imbarcarsi in una stravagante alleanza con il M5S. Come se il partito di Luigi Di Maio non avesse passato un’intera campagna elettorale a dare di farabutti a quelli cui oggi chiede responsabilità e collaborazione. Come se non ci fossero incompatibilità programmatiche profonde: che c’azzecca il Pd con il reddito di cittadinanza? Enrico Rossi ieri sul Foglio ha stoppato le tentazioni «aperturiste» di Leu e ha anche spiegato perché concorda con la linea del Pd sullo stare all’opposizione. Rossi ha aggiunto, costruttivamente, che all’opposizione non ci si deve solo stare: va fatta, incalzando i «presunti vincitori» delle elezioni (Di Maio e Salvini) e rivendicando una propria identità. «A livello programmatico non abbiamo nulla a che spartire con il M5S. Abbiamo impostazioni di carattere politicoculturale diverse e comunque il M5S non si può presentare dicendo: il leader è questo e questi sono i miei ministri». In questo modo, sposando la linea della fermezza tenuta dai Democratici, Rossi cerca di tagliare la strada ai movimentisti di Leu. Il che è comprensibile. Il presidente della Regione crede in una sinistra di governo, non massimalista, e dice che serve un nuovo centro-sinistra, dove ci sia un centro (il Pd) e un «partito del lavoro», tutto da costruire. Il suo appello però contrasta con quello che sta succedendo in alcune città toscane al voto. Le amministrative di giugno non sono un appuntamento da sottovalutare, anche perché la sinistra rischia di farsi molto male. Si prenda il caso di Siena: lì sarebbe difficile ricostruire il centro-sinistra dopo avere perduto il Comune (e sarebbe una sconfitta clamorosa, più dura persino di quella di Livorno). C’è la poi la questione del rapporto con il Pd. Rossi governa in Regione con lo schieramento guidato fino a poche settimane fa da Renzi. Mantenere un buon rapporto con il suo vecchio partito ha naturalmente delle ragioni pragmatiche, per arrivare al 2020 senza scossoni. Ma c’è dell’altro. Canzonando i finti vincitori e «falsi leader» Rossi non fa solo un assist al Pd: sottolinea soprattutto la pochezza di questa stagione politica, come si capisce dall’avvio delle consultazioni. Di Maio è in piena fase Je suis Catherine Deneuve, propone contratti a Pd e Lega come se uno valesse l’altro (evoluzione dell’uno vale uno), afferma che il presidente del Consiglio lo fa lui, che il Pd si deve derenzizzare e Forza Italia deberlusconizzare. Ci manca solo che dica «Lo Stato sono io».