Trionfo della Morte, Paolucci ci svela l’opera restaurata
Pisa Aspettando lo svelamento del restauro, Antonio Paolucci racconta i segreti dell’affresco di Buffalmacco «Lo sgomento dei giovanetti e dei cavalli davanti alle tre bare è la chiave per afferrare il senso dell’opera»
Dieci anni per dieci restauratori capitanati da Gianluigi Colalucci e Carlo Giantomassi e guidati da una commissione presieduta da Antonio Paolucci. È un’impresa quella che va a presentarsi domani a Pisa, quella del compiuto restauro di tutto il ciclo del Trionfo della
Morte di Buonamico Buffalmacco. L’ultimo tassello di questo intervento, unico al mondo per la sua complessità, era proprio quello che doveva recuperare la porzione del ciclo che dà il titolo a tutti gli affreschi commissionati dai domenicani all’artista fiorentino a metà del Trecento e che comprendono anche una scena col Giudizio Universale e con l’Inferno e una con la Tebaide con l’esaltazione, quest’ultima, della vita degli anacoreti, una sorta di programma pedagogico per i visitatori del Camposanto di Pisa.
«Ora che abbiamo concluso un lavoro iniziato nel 2008 grazie alla volontà del presidente dell’Opera della Primaziale Piefrancesco Pacini — dice Paolucci nel suo studio fiorentino dove i volumi, solo di storia dell’arte, sono divisi per aree geografiche e poi ancora per generi e periodi — abbiamo saldato il conto con una storia iniziata 74 anni fa e sanato l’ultima ferita della guerra. Era l’estate del ‘44 quando, mentre i tedeschi entravano a Firenze, gli americani e gli inglesi bombardavano in modo sistematico. Il fronte di guerra arrivò a Pisa e uno spezzone incendiario di una granata alleata colpì il Camposanto di Pisa determinandone il crollo delle capriate e la fusione della lastre di piombo e in definitiva “cuocendo” gli affreschi di Buffalmacco». Allora ricorda lo stesso Paolucci: «Il ciclo non era ancora stato attribuito al maestro fiorentino, piuttosto si parlava genericamente del maestro del Trionfo della Morte. La paternità definitiva sarebbe arrivata nel 1974 grazie a Leonardo Bellosi che su questo studio avrebbe pubblicato un libro che gli sarebbe valso il premio Viareggio». Il libro si intitola Buffalmacco e il Trionfo della morte, ed era edito da Einaudi. «Il restauro è stato molto complesso ma Colalucci e Giantomassi sono i più bravi in questo campo — aggiunge l’ex direttore dei musei Vaticani, ex soprintendente qui a Firenze, ex ministro dei Beni Culturali ma soprattutto lo studioso che in tanti ci invidiano — domani sarà presentata l’ultima sua parte, poi il 17 giugno tutto sarà riposto nella collocazione originale. Non dite, per carità, che è stato restituito all’antico splendore, però posso dirle che la pellicola pittorica di quest’ultima parte degli affreschi era piuttosto ben conservata e ora, dopo un intervento di pulitura e piccole integrazioni, sarà possibile leggere la forza espressionista dell’artista. Da ora in poi il complesso ciclo di affreschi sarà protetto in un modo mai sperimentato prima. È stato fissato su supporti dotati di sensori computerizzati che regolano la temperatura per evitare che condense di umidità lo danneggino». A conti fatti sono trascorsi circa 70 anni da quando Leonetto Tintori, il primo restauratore incaricato di prendersi cura del ciclo di affreschi, lo prese in cura. Fu lui che recuperò le sinopie e iniziò il lavoro del distacco degli affreschi.
Sfoglia il grosso volume dedicato all’opera Antonio Paolucci (La Umana Commedia nel Trionfo della Morte di Buffalmacco nel Camposanto di Pisa di Maria Laura Testi Cristiani) e ci mostra alcune delle sue parti più intense. «Guardi sul lato sinistro del Trionfo della Morte — osserva — ci sono dei giovani pronti ad andare a caccia, sorridono ignari di quanto li aspetta. Poco più avanti tre bare dove sono deposti tre cadaveri in stadi di decomposizione differenti. La vista di questa scena blocca questa allegra brigata. Anche uno dei cavalli volta la testa mentre uno dei giovani si accosta un fazzoletto al naso per non sentire il puzzo. È una scena di una naturalismo straordinario. In cui Buffalmacco si dimostra erede di Giotto e però va oltre la sua pittura conferendo una drammaticità notevole alla sua opera. Ed è un’immagine che fa da contraltare a quella che vede sul lato opposto dove un gruppo di dieci giovinette si trastulla in una scena cortese, un gruppo in cui una di loro viene rappresentata col suo cagnolino in braccio». Un salto indietro e ci mostra il terrore dei dannati nel Giudizio Universale e la distaccata compostezza che fa da modello di vita della Tebaide. «Ricordiamoci che siamo in un Camposanto — aggiunge — l’opera doveva fornire una riflessione apocalittica del Giudizio Universale, mostrare, con la rappresentazione della vita dei santi fatta di preghiera e penitenza, quale era la via per la salvezza e focalizzare l’attenzione sulla morte che trionfa su tutti, papi, imperatori e gente comune». È un discorso completo perfettamente interpretato e che si trova in un contesto, ricorda ancora lo storico dell’arte, che è «un’antologia della grande pittura toscana del Trecento e del Quattrocento con capolavori di Benozzo Gozzoli, Taddeo Gaddi, Antonio Veneziano, Andrea da Firenze, Piero di Puccio». Poi divaga sul Buffalmacco Boccaccesco e sulla bella Firenze trasformata in Disneyland del Rinascimento. Una deriva per la quale ha una ricetta che si riassume in due consigli. Il primo: fermare l’uso delle piazze storiche della città per esporre il contemporaneo perché: «si tratta di un uso mediatico di contesti fragili», e muoversi «verso il numero chiuso dei musei. Due milioni e 200 mila visitatori agli Uffizi sono troppi. Si rischia il collasso. Forse non siamo ancora pronti ma si arriverà a questa soluzione».
Impresa L’intervento sull’intero ciclo del Camposanto danneggiato dalle bombe è durato 10 anni e si è avvalso di tecniche mai usate prima