LE RASTRELLIERE A FIRENZE, OSTACOLO AI PASSANTI (E ANCHE ALLA BELLEZZA)
Caro direttore, in via degli Alfani, all’altezza di Piazza delle Belle Arti, ormai da diversi anni esiste una vera e propria «barriera architettonica» che non solo impedisce la libera percorribilità continua e senza ostacoli a chiunque transiti a piedi sul marciapiede (lato Opificio delle Pietre Dure, verso Via Cavour), obbligandolo a deviare il tragitto, facendo una vera e propria gimkana tra le auto in sosta nella piazzetta, ma che diviene una vera barriera invalicabile per portatori di handicap e ipovedenti. Precisamente: nel tempo i vari responsabili di settori diversi, ciascuno per propria iniziativa, hanno pensato di posizionare una volta la colonnina telefonica, peraltro scarsamente utilizzata; un’altra volta alcune rastrelliere per biciclette, messe in batteria, di traverso, per più di 5 metri di lunghezza; ed altresì il totem del Comune di Firenze che dovrebbe aiutare l’orientamento del turista. D’altra parte, spesso, queste rastrelliere in tubolare metallico (di per se stesse già non proprio belle e, comunque esageratamente autoreferenziali con quella «P» bianca, enorme, su fondo blu) si trasformano spessissimo in attrattori di un groviglio di ferraglia, che sbarrano drasticamente il passaggio dei pedoni.
Del resto nella nostra città, in particolare all’interno del centro storico, per migliorare le situazioni spesso e volentieri basterebbe «levare», piuttosto che continuare ad «aggiungere», senza alcun riguardo per il contesto. O, perlomeno, individuare una collocazione alternativa. In questo senso sarebbe davvero opportuno che progettisti ed amministratori mettessero in pratica la famosa regola di Leon Battista Alberti del «nihil addi», secondo la quale nulla può essere aggiunto o sottratto ad un insieme già organico e compiuto, senza rischiare di alterarne i rapporti.
La questione delle rastrelliere nel centro storico non può essere risolta così come fino ad ora affrontato. Bensì è necessario un approccio più attento, secondo il quale dette rastrelliere devono essere al servizio dei cittadini, come elementi visibili, ma non invadenti, inseriti nel contesto con discrezione. Non occorre affatto esagerare con strutture tubolari complesse e dimensionalmente eccessive, unite ad una segnaletica ridondante, quasi pretenziosa nel suo voler emergere sgomitando a tutti i costi, laddove, al contrario, sarebbe sufficiente la sola presenza, apparentemente silenziosa, ma in realtà perfettamente esauriente dal punto di vista semantico, a denotare la funzione di struttura, per parcheggiare la bicicletta affrancandola ad un sostegno inamovibile, mettendo in pratica una sorta di diligenza minimalistica. In questo senso la municipalità di Arles, in Francia, ci offre un esempio molto decoroso e discreto, che a mio avviso, dovrebbe essere di spunto ai nostri amministratori: si tratta di semplici profili sottili «a ventaglio» in acciaio. Se poi fosse acciaio cor-ten, ancora meglio, assai durevole nel tempo, grazie all’ottima resistenza alla corrosione da agenti atmosferici, con la caratteristica patina bruno-rugginosa inalterabile che, proprio grazie al suo colore, ben si lega in ambienti storici, in particolare vicino a pietre arenarie, come sono appunto la pietra forte e la pietra serena di cui è fatta Firenze.
Concludendo, vorrei evidenziare alcuni fattori importanti nella progettazione e nella risposta alle esigenze della nostra Firenze: il legame sintattico con il contesto storico, il sobrio raggiungimento degli scopi funzionali, la massima sensibilità alla bellezza. La bellezza così ben delineata dal grande pittore e teorico tedesco Raphael Mengs (1728 – 1779): «... Perciò vi è bellezza in tutte le cose, giacchè la natura non fece niente che fosse inutile; e come già si è detto vi è bellezza in ciascuna cosa, sempre che la medesima apparisce perfetta a quell’idea ed aspetto a cui appartiene. L’idea viene dalla cognizione della destinazione di una tal cosa; e questa cognizione proviene dall’anima. La bellezza si trova allora in qualunque cosa, quando tutta la materia è conforme alla sua destinazione(...) Questa bellezza ha un potere, che rapisce ed incanta; ed essendo spirito, muove l’anima dell’uomo, accresce, per così dire, le sue forze, e fa sì che si scordi per qualche momento di essere racchiusa nel ristretto centro del corpo. Da ciò nasce la forza attrattiva della bellezza: subito che l’occhio vede un oggetto assai bello, l’anima ne risente, e desidera unirvisi; onde cerca l’uomo di avvicinarvisi, ed accostarvisi».