«Essere rispettati? Si può, con regole chiare e condivise»
«Ci sono genitori che ti delegittimano “alleandosi” con il figlio contro di te. Sono lontani i tempi in cui l’autorevolezza verso un insegnante era scontata. Ma la verità è che anche oggi un professore può mantenere la disciplina. E lo dimostra il fatto che una stessa classe si comporta in modo diverso a seconda dell’insegnante». La professoressa Anna Lucia Barbis insegna matematica all’istituto Tornabuoni di Firenze. Ha la fama di essere rispettata, nelle sue classi c’è disciplina. È lei a spiegare come si fa: «Prima di tutto — racconta — bisogna mettere subito in chiaro le regole, spiegarle sin dal primo giorno, non farle cadere addosso ai ragazzi all’improvviso, perché altrimenti tutto sembra frutto di un puntiglio e rischia di essere vissuto come un’ingiustizia. Il primo giorno di scuola non faccio mai lezione, spiego invece le “regole”: ad esempio, chiedo che i ragazzi posino sempre i cellulari sulla cattedra. Con qualche genitore ci sono state polemiche, ma i ragazzi, se li abitui sin da subito e se dai l’esempio (io per esempio non ho mai usato il telefonino in classe), rispettano la tua decisione. Se invece tu lo pretendi all’improvviso, difficilmente accetteranno. E se qualche situazione ti costringe a cambiare una decisione, devi spiegarne i motivi e assicurare che da quel momento in poi la cosa varrà per tutti». Per Barbis, un insegnante ha il dovere di essere, ma anche di apparire, giusto e coerente: «Dal primo giorno metto in chiaro che chi entra anche solo due minuti di ritardo rispetto alle 8.15 deve portare la giustificazione. Ma dico anche che sono disposta a sorvolare se uno studente è sempre puntuale e capita che una volta, una volta sola, possa far tardi. Allo studente devi mettere in chiaro da subito non solo la regola, ma anche la possibile deroga. Altrimenti pensano che tu possa trattare i ragazzi in modo diverso. E perdi la tua autorevolezza». Se un insegnante vuole essere rispettato, deve anche evitare di gridare, di alzare la voce: «Proprio l’altro giorno — sorride la professoressa — una studentessa mi ha fatto così arrabbiare che ho urlato, ma erano anni che non mi succedeva. Se gridi, anche i ragazzi finiranno per alzare la voce». Le punizioni, ovvero un brutto voto in condotta o la sospensione, «oggi sembrano funzionare meno che in passato».
Ma guai a essere professori-amici o professori-genitori: «Gli studenti non sono figli miei: una vicinanza eccessiva rischierebbe prima di tutto di condizionarti in una valutazione, ma d’altra parte ti fa correre il pericolo di non essere rispettata. Il numero di telefono, se vogliono, lo lascio solo dopo il diploma, non esiste che io finisca nelle loro chat. E, per esempio, quando entro in classe, gli studenti si devono alzare in piedi: e non solo con me, o con il preside, ma anche con i bidelli». E non c’è il rischio che un ragazzo un po’ ribelle si rifiuti di stare alle regole? Al contrario, risponde la professoressa Barbis, «di solito sono proprio i più agitati a legarsi a un insegnante severo. Perché hanno bisogno di una figura di riferimento e forse a casa non sono riusciti ancora a trovarla».
Obiettivi
I ragazzi hanno bisogno di punti di riferimento che forse a casa non riescono a trovare