LE VERTIGINI IN BICI E UN PEDAGGIO CHE ORA NON C’È PIÙ
Da ciclista, ai primi passaggi il Ponte alla Vittoria mi ispirava una vaga tensione: c’entrava forse il fatto che, fra tutti i nostri ponti, è quello più pensato per le automobili, e il suo concludersi con uno svincolo contribuisce a tale impressione, ma ogni volta, anche quando mi ero abituato al traffico, ha continuato a darmi una vertigine. Realizzo oggi che aveva un ruolo anche la distanza percepita di Firenze: a differenza degli altri ponti, da qua la città, oltre che assente su un lato, appare molto lontana, e se non ci fosse la Torre d’Arnolfo si potrebbe addirittura credere di essere altrove; certo, colpiti da un tale spaesamento, viene difficile pensare che all’inizio della sua vita fosse tra i ponti più noti e importanti della città: costruito nel 1835 come ponte sospeso e ornato con un deciso gusto neoclassico — ferro battuto ricco di fioriture su quattro pilastri dominati da leoni in marmo in stile egizio — aveva un pedaggio, particolarmente caro per animali e mezzi a motore, e collegava le vie «regie» — via Pisana e via Livornese — con via Pistoiese e con la zona del Pignone, dove andava formandosi un primo nucleo industriale.
Oggi due dei quattro leoni sono finiti all’imbocco di via del Poggio Imperiale, mentre gli altri due, rinvenuti in un magazzino comunale solo negli anni ’60, sono stati piazzati sul viale delle Cascine: del vecchio ponte non resta infatti alcuna traccia perché fu sostituito già nel 1932, e quella versione pure è scomparsa, distrutta dalle mine tedesche soltanto dodici anni più tardi, cosa che ci porta all’attuale struttura. Realizzata con modi spicci dall’amministrazione militare alleata, si avvalse del progetto degli architetti fiorentini Baroni, Bartoli, Focacci, Gamberini e Maggiora, ma poco di ciò che avevano previsto per essa venne realizzato: come in un contrappasso rispetto alla leziosa struttura originaria, non videro mai la luce i parapetti di bronzo modellato né la copertura in pietraforte, e se qualche polemista dell’epoca parlò di «Ponte alla Vittoria mutilata», i fiorentini si abituarono presto a quel passaggio dall’aria spiccia e funzionale, adeguata alla sua funzione di snodo carrabile e alla sua posizione distante dal centro, e negli anni successivi, col boom delle utilitarie, anche il suo esser poco adatto a pedoni e ciclisti fu considerato un buon prezzo da pagare in cambio della scomparsa del pedaggio per i mezzi a motore.