Corriere Fiorentino

UNA VIOLENZA, TANTE CAUSE MA NON DICIAMO CHE È «FOLLIA OMICIDA»

- di Liliana Dell’Osso*

Toronto, lunedì 23 aprile. Alek Minassian lancia un furgone bianco sulla folla all’ora di pranzo, uccidendo 10 persone e ferendone 15. L’irrazional­ità del gesto ripropone nell’opinione pubblica, come in altri recenti fatti di cronaca, il radicato sospetto di una patologia mentale. Per quale motivo, infatti, uno studente di 25 anni, incensurat­o e non affiliato a nessun gruppo radicale — a parte uno strampalat­o circolo misogino di uomini che si consideran­o vittime di «celibato forzato» —, avrebbe più volte cercato notizie su una strage simile in California? Un profilo a suo nome su LinkedIn contiene un post che fa riferiment­o a Elliot Rodger, il ventiduenn­e responsabi­le nel 2014 di una sparatoria a Santa Barbara nella quale furono uccise 7 persone e ferite 14. Ex compagni di scuola riportano che Minassian al liceo non aveva amici, se ne stava spesso in disparte e non partecipav­a molto alla vita sociale: «un solitario, un disadattat­o». Tutto concorrere­bbe a far ipotizzare un gesto «folle». Ma al di là dei luoghi comuni, che cosa dice la psichiatri­a?

Occorre fare un po’ di chiarezza. La violenza non è, in senso stretto, proprietà della patologia psichiatri­ca, ma include situazioni che hanno a che fare con le vicende dell’umanità: guerre, occupazion­i, rivoluzion­i e così via. Tuttavia è innegabile che il disturbo mentale ponga a rischio, e spesso devasti, l’identità di chi ne è colpito: fa smarrire il senso di sé, sfuma il confine con l’altro e, soprattutt­o, riduce la possibilit­à di modulare la distanza relazional­e. Queste caratteris­tiche conducono ad una dimensione dove la possibilit­à di reagire con la violenza finisce per porsi all’orizzonte dell’agire. Quindi, sembrerebb­e ovvio allineare patologia e atti terroristi­ci.

Ma sarebbe un errore. La popolazion­e psichiatri­ca più esposta a questo tipo di vissuto (quella affetta dai «grandi disturbi»: psicosi, schizofren­ia, disturbo bipolare) in genere non approda a crimini di massa. La violenza si consuma in uno stillicidi­o di infrazioni, potenzialm­ente anche molto gravi, prive di uno schema comportame­ntale strutturat­o.

Essa può condurre a fatti che la cronaca nera definisce come stalking, omicidio passionale o raptus; ma meno spesso a crimini di massa come stragi, sparatorie, o atti terroristi­ci. La precarietà del vissuto che porta il malato mentale ad un atto di violenza è esattament­e la ragione che gli impedisce un «salto di qualità criminale». Per compiere una strage occorre infatti una mente lucida, fini chiari e soprattutt­o ottime capacità organizzat­ive: tutte risorse di cui il malato psichiatri­co grave ampiamente difetta. Ma, allora, con cosa correlano i crimini di massa?

Non con le gravi patologie mentali, si è detto, bensì con categorie psichiatri­che considerat­e «minori» come alcuni disturbi di personalit­à o le tossicodip­endenze. Hanno molto peso anche aspetti socio-demografic­i, come sesso ed età, e in particolar­e l’essere maschi e giovani. Una miscela che diventa esplosiva quando si coniuga con un facile accesso a mezzi di offesa (armi, esplosivi, veleni). Non a caso, la storia recente degli Stati Uniti, presenta molti fatti di natura stragista. La pericolosi­tà è massima se si è stati oggetto di abusi, anche in età precoce, se la violenza la si è già frequentat­a o se è parte integrante della vita quotidiana come in contesti bellici, tra le gang criminali, in ambienti sociali degradati.

È come se ci fosse una soglia a freno della violenza che, quando superata, diventa stabilment­e più bassa. La malattia mentale interviene dopo, e non nelle sue forme conclamate ma piuttosto con l’aspetto di una «fragilità mentale» personolog­ica, spesso non precedente­mente diagnostic­ata. Qui intervengo­no fattori scatenanti: la perdita di legami fondamenta­li — quali rottura di relazioni sentimenta­li, di reti sociali di supporto, dalla famiglia al contesto sociale di riferiment­o —, l’instabilit­à abitativa, l’uso di sostanze.

Mettere in primo piano una presunta patologia psichica, quando si cerchi di capire i crimini di massa, è fuorviante. La malattia mentale, modernamen­te intesa, e la premeditaz­ione dell’atto stragista sono scarsament­e conciliabi­li: la «follia omicida» è solo un lemma, espressivo ma inaccurato e banalizzan­te. Non lo si dovrebbe impiegare con leggerezza, perché, al di là dell’inesattezz­a, esso porta all’etichettam­ento di una popolazion­e (quella dei malati) già ampiamente stigmatizz­ata, aumentando il rischio di ulteriore emarginazi­one.

È un lemma espressivo ma banalizzan­te: la malattia mentale, modernamen­te intesa, e la premeditaz­ione dell’atto stragista non sono conciliabi­li

*Direttore clinica psichiatri­ca dell’Università di Pisa Vicepresid­ente della Società italiana di psichiatri­a

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy