NEI GAZEBO E SULLA RETE
La Lega si appresta dunque anche in Toscana a chiedere ai suoi militanti che ne pensano del «contratto» da stipulare con i Cinque Stelle per dare un governo al Paese. Così come Di Maio e C. hanno annunciato di voler consultare via web il loro mondo. Saranno due modi diversi per condividere un passo assai impegnativo o uno stratagemma per dirsi di no senza perdere la faccia? Fatto è che si ricorre al «popolo», cuore dei valori rivendicati dalle forze che non nascondono la loro vocazione populista. Ma il populismo è davvero un pericolo per la democrazia? Al convegno di lunedì scorso nella sede della Fondazione delle Biblioteche della Cassa di Risparmio in via Bufalini per la presentazione del libro del direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana («Un Paese senza leader»), Ginevra Cerrina Feroni, docente di diritto costituzionale, ha invitato a evitare banalizzazioni e demonizzazioni. Se populismo, ha detto in sostanza, significa recuperare nella sua pienezza il concetto di rispetto della volontà popolare, siamo proprio nel solco tracciato dalla Costituzione. E non sono condivisibili gli attacchi a quei leader politici che si mettono più di altri in sintonia con la sensibilità dell’opinione pubblica. D’altra parte, il populismo non c’è solo nelle parole d’ordine o nelle strategie di Lega e Cinque Stelle. Buone dosi di populismo hanno accompagnato la lunga stagione di Silvio Berlusconi, che proprio così ha conquistato il consenso del «popolo» dei centri commerciali. Così come anche Matteo Renzi ha puntato nella sua ascesa su atteggiamenti e segnali che tendevano a stabilire un rapporto diretto con la «gente», superando la mediazione di tutti i corpi intermedi tanto cari al cattolicesimo politico. E cominciando a rincorrere i grillini sul campo a loro più congeniale: moralità e costi della politica. Com’è finita si è visto: l’originale è stato più apprezzato della copia.
La discussione su portata e metodi del populismo è tutt’altro che accademica. Rilanciata proprio in questi giorni dalla duplice iniziativa di Di Maio e di Salvini per ottenere il via libera, oppure lo stop, al varo del governo gialloverde. Il problema resta quello della scarsa trasparenza, mai affrontato sul serio e risolto (basta pensare ai finanziamenti della politica, dalla Prima Repubblica fino a Renzi), ma è proprio con i Cinque Stelle che la fumosità dei processi decisionali è diventata un nodo cruciale.
La consultazione dei prossimi giorni avverrà sulla piattaforma Rousseau, lo strumento che il M5S usa per verificare il grado di consenso delle proprie scelte. Ma nessuno può garantire che i risultati delle consultazioni online non vengano in qualche modo aggiustati in base alle convenienze. Già in occasione della formazione delle liste elettorali sono emersi dubbi, con relative aspre polemiche. Il populismo non può essere l’arte di far sembrare decisivo il ruolo del popolo. E l’uso della tecnologia non può alimentare aloni di mistero. Sennò tanto vale affidarsi ai vecchi gazebo piazzati nelle strade, come intende fare Matteo Salvini. Se non altro si vedranno a occhio nudo. Come quelli che ci andranno per dire sì o no.