I fondali del Giglio? «Come Pompei»
Un documentario mostra ai cittadini il fondale libero. «Lì sotto è come Pompei»
Dopo oltre 6 anni l’orizzonte davanti al porto è libero: niente operai né gru dove naufragò la Concordia. L’ultima piattaforma mobile se n’è andata sabato. E ieri i gigliesi hanno visto in anteprima un video che racconta la storia dei fondali, la loro trasformazione dalla notte del naufragio fino a oggi. Ora sono i fondali del Giglio i veri osservati speciali: «Pensiamo a Pompei — spiega Giandomenico Ardizzone, docente della La Sapienza — sotto la cenere non c’era più niente. Qui è successo lo stesso».
Dopo oltre sei anni l’orizzonte davanti al porto è libero: niente operai né gru a ricordare la tragedia della Concordia. La Micoperi 30, l’ultima piattaforma mobile che era tornata al Giglio a fine gennaio per completare la bonifica e ripulitura dei fondali, se n’è andata sabato, certificando la fine dei lavori. E ieri i gigliesi hanno visto in anteprima un video, realizzato dal Centro interuniversitario di biologia marina ed ecologia applicata di Livorno in collaborazione con La Sapienza, che racconta la storia dei fondali, la loro trasformazione dalla notte del naufragio, il 13 gennaio 2012, attraverso le operazioni di parbuckling (la rotazione) del relitto e fino a oggi. Perché adesso (ma, in realtà, fin dall’inizio della storia) sono proprio i fondali del Giglio i veri osservati speciali: degradati anzi massacrati dal naufragio e dai lavori – e per quei danni ambientali Francesco Schettino è stato condannato, l’altro ieri, a un’ammenda da 5 mila euro – sono ora al centro di un vero e proprio piano di restauro biologico. Passerà anche da piccoli trapianti di gorgonie (che con alghe e spugne formano il coralligeno del Giglio) e di posidonia, la pianta marina più comune delle nostre coste, habitat prediletto della biodiversità del Mediterraneo .« Pensiamo a Pompei– spiega Giandomenico Ardizzone, docente di ecologia a La Sapienza e consulente per il piano ambientale del Giglio – sotto la cenere non c’era più niente. Qui è successo lo stesso: rimossi i sedimenti e le strutture utilizzate, abbiamo ritrovato le rocce e i fondali naturali, ma non c’è più vita. L’ambiente, in parte, si rigenera naturalmente; noi possiamo velocizzarlo e stimolarlo con i trapianti, la valutazione degli organismi che si vanno a ricolonizzare, l’inserimento di alcune specie nel sub strato roccioso per favorire l’insediamento di altre». Ma è affare lento: l’azione di recupero prevista dal ministero per l’Ambiente dura cinque anni. «Ma già in un anno e mezzo avremo i primi esiti sulla capacità di ripresa – spiega Maria Sargentini, presidente dell’Osservatorio ambientale sulla rimozione della Concordia – Abbiamo già sperimentato tecniche specifiche e, a breve, partiranno gli interventi per accelerare il processo naturale di rigenerazione. Il coralligeno deve ricostituirsi, ma non è perduto. E tutto sarà fatto con piccole barche e subacquei: l’impatto visivo è finito». Il Giglio dunque si prepara alla sua prima stagione con l’orizzonte libero. «Finalmente possiamo parlare di futuro» sospira il sindaco Sergio Ortelli che quei lavori, e il relitto prima di loro, li ha visti ogni giorno dalla finestra del suo ufficio. «Questo risultato premia i cittadini, per il lavoro fatto fin dalle prime ore, e la collaborazione tra pubblico e privato: abbiamo agito con tutta la cura possibile e questo risultato ci dà conforto».