Prato, fischi all’artista: sei superficiale
Allo show per i 30 anni del Pecci, una cantante cinese guida la rivolta contro Ganahl
Chissà che fine faranno i video prodotti dall’artista austro-americano Rainer Ganahl, «chiamato a raccontare Prato» in occasione delle iniziative per i 30 anni del Centro per l’arte contemporanea «Luigi Pecci». Quel che è certo, è che il momento della sua performance — venerdì sera nel cuore di Chinatown — si è trasformato in un ring: con l’artista accusato di «superficialità», anche dalla direttrice del Pecci scesa in campo per calmare gli animi.
Non si sa ancora che fine faranno i video prodotti dall’artista austro-americano Rainer Ganahl, né si possono azzardare ipotesi sull’esito del contratto con cui è stato «chiamato a raccontare Prato» in occasione delle iniziative per il trentennale del Centro per l’arte contemporanea «Luigi Pecci». Quel che è certo, è che il momento della sua performance — venerdì sera nel cuore di Chinatown — si è trasformato in un ring: da una parte l’artista accusato di arroganza, dall’altra una serie di operatori del settore artistico capitanati da una performer. Tutto in pubblico.
L’iniziativa non era partita nel migliore dei modi, con un ritardo nella scaletta di almeno un’ora e mezza, con conseguente svuotamento di piazza dell’Immaginario. Del resto, chi ha seguito l’artista nella sua settimana a Prato — un periodo nel quale doveva leggere e raccontare la città — spiega che la sintonia con l’ambiente non si è mai creata. Le prime discussioni con il museo ed il Comune sono nate attorno all’utilizzo del logo di «Gucci» accostato a immagini di violenza. I brand sono stati quindi eliminati, ma i malumori sono rimasti. Alle 22.30 Ganahl lancia comunque il suo show: una sfilata provocatoria sul falso e sui rapporti contraddittori fra i messaggi del mondo della moda e quello della sua produzione. Il nome di Gucci, alla fine, compare su una serie cartelli che compongono la scritta «Gucci a Prato», che con un rapido movimento si trasforma in «Marx a Prato».
Una metafora del corto circuito (peraltro ben esplorato negli scorsi anni da arte, media e letteratura) fra lusso e sfruttamento. Al termine, l’ar- tista lancia dei video raffazzonati: una delle performer, una cantante d’opera cinese che aveva sfilato, insorge: «Sono stata coinvolta in un messaggio che non condivido». Comincia la querelle al microfono, fra urli e insulti. Ganahl cerca risposte dal pubblico, che non lo asseconda. L’imbarazzo è evidente.
Interviene con una buona dose di coraggio e stile la neo direttrice del «Pecci», Cristiana Perrella. Che si prende