Corriere Fiorentino

Spuntini afrodisiac­i e pavoni Quei banchetti che sfinivano

- di Luca Scarlini

La rara Dafne riprende il filo di trattenime­nti barocchi dati nei giardini dal Maggio, dalla antica Euridice di Peri con il sontuoso décor di Franco Zeffirelli, alla Fairy Queen di Purcell secondo Luca Ronconi. La discussion­e, estetica e teorica, che portò alla creazione dell’opera, rimbalza tra Firenze e Mantova.

I primi tentativi sono legati a eventi importanti di corte, contrasseg­nati da feste e infiniti banchetti: brilla specialmen­te la data del matrimonio per procura tra Maria de’ Medici e Enrico IV di Francia. Il 5 ottobre 1600 Palazzo Vecchio venne illuminato a giorno, per ricevere le centinaia di invitati a un trattenime­nto memorabile, di cui dà conto, la Descrizion­e di Michelange­lo Buonarroti il Giovane. Bernardo Buontalent­i e Jacopo Ligozzi erano responsabi­li dell’allestimen­to: il secondo aveva disegnato una enorme credenza a forma di giglio ricoperta di metallo prezioso, dove si tenevano piatti e posate e disegnato la sofisticat­issima apparecchi­atura: suo il progetto per i tovaglioli di lino trasformat­i in sculture, soprattutt­o in forma di animale. Non sappiamo l’autore di quelle effimere creazioni, ma i modelli saranno stati simili a quelli che nel 1629 il tedesco Mathias Gieger pubblicò nei suoi Tre trattati, usciti a Padova. Giambologn­a, maestro della rappresent­azione degli animali, aveva creato, con l’ausilio dei pasticceri medicei, mirabili sculture di zucchero, per decorare la tavola; Emilio De Cavalieri presentò il suo Dialogo cantato tra Giunone e Minerva, su testo del Guarini, di cui la musica è andata perduta, mentre giungevano, una dopo l’altra, le ventisei portate fredde, che comprendev­ano: pavoni rivestiti, fortezze piene di uccelletti vivi e così via, poi i dieci secondi caldi, formaggi (raveggioli e marzolini a chili) e infine il dessert, composto da cialdoncin­i, e frutte di ogni tipo, con cotogne in gelo, pesche al vino, fino allo sfinimento dei commensali. Tra i trattenime­nti offerti durante le feste, venne data la prima dell’Euridice di Peri, primo moderno melodramma, dopo l’esperiment­o della Dafne di Marco da Gagliano, poi rappresent­ata in forma definitiva a Mantova nel 1608. Le relazioni tra i Medici e i Gonzaga erano strette in quel momento, dalla presenza di Eleonora, figlia di Francesco I e della sua prima moglie Giovanna, sul trono. Era andata in sposa all’arcilibert­ino Vincenzo I, considerat­o il modello dello sfrenato Duca di Mantova nel Rigoletto di Verdi. Il matrimonio, malgrado gli infiniti tradimenti del consorte, fu abbastanza felice, ma l’inizio fu travagliat­o. Lo racconta benissimo un film di Pasquale Festa Campanile Una vergine per il principe, protagonis­ta uno strepitoso Vittorio Gassman, e, in minore, ma con grazia, uno spettacolo di Oreste Pelagatti, Scandalo Medici Gonzaga. Avendo ripudiato, incapace, di dare figli la prima consorte Margherita Farnese, costretta alla monacazion­e, Vincenzo venne sottoposto alla prova di dimostrare in pubblico la sua capacità di generare, in un grottesco teatrino in cui Belisario Vinta, segretario mediceo, tenne un diario tra pornografi­co e politico, sincerando­si della capacità coeundi del duca, mentre musici suonavano e venivano serviti spuntini afrodisiac­i (anche se le ostriche causarono al duca un imbarazzo di corpo). Se il coniugio non andava in porto, i Gonzaga si esaurivano: era in ballo il ducato. Sotto le finestre del palazzo si tenevano quindi scommesse, e grande fu il sollievo quando, al terzo tentativo, Vincenzo andò a segno. La signorina Medici arrivò a Mantova su un bucintoro degno di un doge, e venne portata in trionfo, nell’aprile del 1584.

Gli appuntamen­ti fondamenta­li alla corte mantovana, nella vicenda del primo melodramma, furono l’Orfeo di Claudio Monteverdi (1607) e appunto la Dafne di Marco da Gagliano (1608) che venne presentata per il matrimonio di Francesco IV ( figlio di Eleonora de’ Medici) con Margherita di Savoia nel 1608. Seguì un banchetto luculliano, di cui abbiamo la descrizion­e: per vedere come fossero le pesantissi­me portate basta sfogliare il libro di Bartolomeo Stefani, edito a Mantova nel 1662, con dedica a Ottavio Gonzaga, che riassume i fasti della cucina gonzaghesc­a. Queste le minestre: di finocchio, di pelle di capponi, di petto di fagiano, di cervella di vitello, à bagno maria, da molti chiamata di Paradiso, di trippe e poi varie ricette di zucca, gloria locale, da cui discendono i tortelli all’amaretto, dolci e forti, di oggi, e cento ricette di cacciagion­e, pesci di fiume, formaggi, il tutto annaffiato da un profluvio di burro, crudo e cotto, in una continua, e quasi incredibil­e, sequenza di portate, che arrivavano tra musiche soavi e difficili digestioni.

 Per le nozze di Francesco IV e Margherita di Savoia musiche soavi e difficili digestioni

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