Bekaert, appello a Di Maio e nuovo sciopero
Dopo il corteo dei 5.000, le mosse di Regione e Governo per salvare la fabbrica di Figline
Dopo la manifestazione a Figline, sindacati e Regione studiano come salvare la fabbrica. L’attenzione è rivolta soprattutto al ministro Di Maio. Mercoledì nuovo sciopero.
Durante il corteo dei cinquemila per salvare la Bekart, in molti, dalla politica ai sindacati (che annunciano lo sciopero generale dei metalmeccanici per il 4 luglio in tutta la Città metropolitana di Firenze), hanno sottolineato la pesante assenza di esponenti del governo a fianco dei 318 lavoratori dello stabilimento di Figline. Se dal Ministero dello Sviluppo Economico per ora nessuno parla, in piazza Marsilio Ficino, alla fine del comizio che ha chiuso il corteo, la deputata Cinque Stelle di Reggello, Yana Chiara Ehm, visibilmente irritata dai tanti attacchi scanditi dal palco verso l’esecutivo giallo-verde, ha cercato di dare rassicurazioni sull’impegno del ministro Luigi Di Maio per la fabbrica valdarnese: «So per certo che a Roma stanno lavorando al 100% per Figline». Poi, Ehm ha svelato un retroscena: «Ho parlato personalmente con Luigi Di Maio, mi ha detto che giovedì farà di tutto per esserci di persona». Giovedì 5 luglio, alle tre di pomeriggio, al ministero dello sviluppo economico, si terrà infatti il vertice sul caso Bekaert-Figline. Ci saranno esponenti del governo, probabilmente lo stesso ministro, i sindacati, i rappresentanti delle istituzioni locali, tra cui il governatore Enrico Rossi e, forse, gli emissari di Bekaert.
I vertici della multinazionale belga sono stati formalmente invitati dal Mise, ma la loro presenza è in forte dubbio, visto che non sembrano disposti a trattare sulla chiusura dello stabilimento, fissata per il 4 settembre. Proprio su questo punto, Rossi, che è stato invitato al Mise già per martedì 3 luglio, probabilmente per delineare una strategia istituzionale comune tra governo e Regione, dal palco di Figline ha mandato un monito a Di Maio: le trattative non si possono fare senza la presenza della multinazionale, per questo è necessario che «il Governo deve pretendere che ci sia. Deve telefonare al primo ministro belga, deve chiamare l’ambasciatore».
Il governatore ha inoltre spiegato che al tavolo dovrà essere chiamata «anche la Pirelli, che con Bekaert ha accordi commerciali»: nel 2014, l’azienda italiana ha venduto tutto il ramo dello steelcord (la cordicella di metallo degli pneumatici) ai belgi, diventandone perciò cliente. Se Rossi chiede «all’azienda di ritirare, o almeno di sospendere, i licenziamenti», operai e sindacalisti non sono altrettanto ottimisti: «Per Bekaert Figline non è più strategica — dicono in molti — la speranza ormai non è che tengano aperto lo stabilimento, ma che la politica riesca almeno ad ottenere che venga messa in vendita. Ma è tutt’altro che scontato, visto che a loro non conviene metterci in mano a un concorrente, dopo che ci hanno comprato da Pirelli proprio per eliminare la concorrenza». In Europa, lo steelcord è prodotto solo da Bekaert, per trovare rivali di mercato bisogna andare in Asia. Ma Figline può essere strategica solo per chi abbia bisogno del suo settore di ricerca e sviluppo, perché il suo steelcord costa 650 euro a tonnellata contro i 180 euro degli stabilimenti nei Paesi emergenti. A Bruxelles, gli europarlamentari Pd giocano una carta diversa: hanno chiesto alla Commissione europea di verificare se la posizione dei belgi non costituisca monopolio e non violi le regole antitrust dell’Ue, per imporre alla multinazionale la vendita anziché la chiusura. Ma, nel 2013, quando Pirelli mise in vendita lo stabilimento, la transazione restò bloccata per otto mesi proprio perché l’Europa volle verificare che non fossero violate le norme antitrust: alla fine arrivò il via libera.
L’alternativa rimasta, se Bekaert non cederà, è la reindustrializzazione: trovare idee e risorse (la cassa integrazione per coprire il tempo necessario a trovare investitori) per riconvertire lo stabilimento e salvare i posti di lavoro.