E Calenda: il modello può essere Embraco, ma attenti ai vincoli
«Le alternative? Ci sono». L’ex ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda interviene sul caso Bekaert di Figline e propone, di fatto, il «modello Embraco». Cioè quello applicato all’azienda torinese, di Riva di Chieri, la cui casa madre brasiliana ha deciso la chiusura sei mesi fa. Solo la settimana scorsa è stato firmato un accordo che salva tutti e 417 i posti di lavoro: arriveranno i sino-israeliani di Ventures Srl, che producono robot per la pulitura di pannelli fotovoltaici. «Occorre — spiega l’ex ministro — intervenire tramite Invitalia e usando il fondo anti delocalizzazioni», una proposta che già aveva fatto un altro ex ministro toscano, Luca Lotti (il fondo era nato su proposta congiunta dei due ex membri dell’esecutivo, ha ricordato lo stesso Lotti mercoledì scorso). Ma come dovrrebbe funzionare l’operazione modello «Embraco»? «Invitalia — prosegua Calenda — “prende” sotto di sé l’ azienda per avere tempo per reindustrializzarla. Per farlo davvero occorrerà usare i “contratti di sviluppo” da noi rifinanziati per 850 milioni, per rendere attraente l’investimento per i nuovi acquirenti». Nel caso dell’Embraco, l’accordo prevede una fase di cassa integrazione e la formazione del personale, per essere ricollocato. All’azienda torinese, non solo saranno riassunti tutti i dipendenti dell’ex Embraco, ma anche con gli stessi stipendi e lo stesso integrativo. «Purtroppo — conclude Calenda — se i contenuti del “decreto Dignità” proposto dal nuovo governo sono quelli che leggo sui giornali (con vincoli di 10 anni di impegno e 200% di multa sui fondi pubblici percepiti in caso di chiusura dell’azienda) nessuno chiuderà più un contratto di sviluppo e dunque anche le reindustrializzazioni si fermeranno».
Occorre sfruttare i fondi anti delocalizzazione e attrarre nuovi interessi