LA LEZIONE SBAGLIATA
Con la conclusione degli esami di Stato i dati che cominciano ad arrivare da ogni parte d’Italia sembrano confermare le abituali altissime percentuali di promossi che, almeno in parte, non corrispondono però un’effettiva sufficienza della preparazione.
Non si tratta naturalmente di rivendicare un incondizionato aumento delle bocciature, né di essere nostalgici dei tempi che furono, nei quali, peraltro, la scuola non mancava di pecche gravi e inaccettabili. Senza contare poi che un alto tasso di bocciature non è ovviamente di per sé conferma di un buon sistema scolastico. Ma per essere veramente lo strumento per eccellenza per la conservazione e la promozione del sistema democratico, la scuola deve essere tuttavia innanzitutto seria. E sugli esami di Stato qualche dubbio è lecito. Lo confermano i racconti di chi ha fatto parte delle commissioni di esame e perfino quelli di alcuni studenti che l’esame lo hanno appena sostenuto.
In occasione degli scrutini finali sono diffuse da tempo pessime abitudini. Alcuni docenti si ritrovano, in privato, per «aggiustare» tra di loro i voti di alcuni ragazzi, in modo da evitare che in sede di scrutinio, quello ufficiale, non siano ammessi agli esami. E spesso accade che all’interno degli scrutini la grandissima parte del tempo sia dedicata a cercare tutte le strade e tutte le strategie possibili per «salvare» e ammettere alcuni studenti che hanno un quadro delle materie davvero lontano dal giustificare un’ammissione all’esame. Così se gran parte del tempo lo si dedica a premiare chi non se lo merita, è naturale che non ne rimanga per valorizzare chi, invece, ha lavorato con maggior responsabilità e al quale spesso non viene elargito alcun «riconoscimento».
Non mancano, in sede di esame, quei docenti che comunicano ai propri allievi gli argomenti della terza prova, la più impegnativa e la meno premiante sul piano dei risultati, che non a caso sarà abolita dal prossimo anno. E può anche accadere che i ragazzi siano informati su alcuni argomenti da affrontare nel colloquio.
Durante gli scritti, poi, capita spesso che gli insegnanti evitino di proposito di controllare cosa succede in aula, cioè se si copia da appunti, dai cellulari o dai compagni (come del resto avviene in molti concorsi pubblici). C’è infine chi diffonde traduzioni e soluzioni di problemi.
Probabilmente questi insegnanti non sono consapevoli di come tali comportamenti, professionalmente indecenti, non servano affatto a creare nei loro confronti stima e affetto da parte degli studenti, come invece quasi certamente pensano accada.
È invece gravissimo il danno che provocano negli studenti seri e responsabili, anche di altre classi e di altre scuole, che vedono legittimato l’imbroglio o, nel migliore dei casi, avvertono la delusione di vedere come anche il mondo scolastico sia palestra di ingiustizia e come poco paghi fare il proprio dovere e agire con onestà. Una bella educazione alla legalità. Comportamenti del genere, che dovrebbero essere severamente perseguiti sul piano disciplinare, sono dovuti a una forma di corruzione morale assai diffusa nel Paese, che fa del cosiddetto buonismo il proprio criterio di condotta e una comoda alternativa al principio di responsabilità. Naturalmente, al pari degli scorsi decenni, neanche una parola da parte delle autorità, in primis il ministro, sulla necessità che durante gli esami si debbano innanzitutto rispettare le regole e che ciascuno debba corrispondere ai propri compiti in maniera leale. Alla fine, allo stesso modo degli altri anni, i maturandi sono stati sommersi da frasi rassicuranti e consolatorie, come se gli esami non avessero alcun legame con la preparazione alla vita adulta e l’etica pubblica fosse un significativo e consolidato patrimonio della Nazione.