Le lettere inedite di Ginettaccio, nell’estate più difficile
Le tensioni del dopoguerra, l’attentato a Togliatti che scosse l’Italia, l’impresa in maglia gialla La nipote Gioia mostra gli scritti inediti del nonno-campione in quel rovente luglio di 70 anni fa
Alla moglie
Qui gli italiani piangono per me. Vorrei tu potessi vedere quel che è questa corsa per chi è emigrato
Il 14 luglio 1948 ci fu l’attentato a Palmiro Togliatti, segretario del Pci, e l’Italia andò immediatamente sull’orlo dell’insurrezione comunista. Il 15 luglio Gino Bartali vinse al Tour de France la durissima tappa alpina tappa CannesBriançon, il 16 vinse la Briançon-Aix-les-Bains conquistando la maglia gialla e strappandola al campione francese Louison Bobet. E il 25 luglio il fuoriclasse fiorentino pedalò trionfalmente a Parigi, conquistando il Tour a dieci anni dalla prima volta, impresa ancora ineguagliata. «Quanto all’aver “salvato la Patria” nel giorno della vittoria di Briançon con l’attento a Togliatti che aveva paralizzato il Paese, io non vi ho mai dato troppo peso», scrisse Bartali nel 1979 nella sua autobiografia
Tutto sbagliato, tutto da rifare, ma anni dopo raccontò della telefonata che il primo ministro Alcide De Gasperi gli fece nella serata del 14 luglio per chiedergli un’impresa che contribuisse a rasserenare gli animi. Settanta anni dopo quei giorni, la nipote di Ginettaccio, Gioia Bartali, ha ripreso in mano le lettere che suo nonno scrisse all’adorata moglie Adriana dalla Francia. «Perché si ricordi non solo chi era il nonno, ma chi era davvero, si parli di una storia bella per Firenze, la Toscana, l’Italia, il mondo», dice Gioia Bartali.
Lettere e cartoline, in cui non c’è traccia della telefonata di De Gasperi, fondatore e leader della Democrazia Cristiana, al campione cattolico. «Il nonno evitava sempre di vantarsi, di darsi importanza e per questo su tante vicende non ha lasciato niente di scritto — spiega Gioia, figlia di Andrea Bartali, scomparso un anno fa, primogenito di Gino, che poi ebbe Luigi e Bianca — chi lo conosceva bene, come me, non si meraviglia di ciò, anzi; era il suo carattere. L’ho sentito parlare della telefonata di De Gasperi con gli amici, che ogni tanto gli chiedevano di quella volta, e anche se non si vantava è certo che tanti seguirono via radio le sue imprese più che la “battaglia” che si svolgeva nelle strade e nei luoghi di lavoro e che la vittoria il giorno 15, recuperando ben 21 minuti a Bobet che era primo in classifica con una fuga sulle Alpi, e la maglia gialla presa il giorno successivo contribuirono a rasserenare gli animi. Anche questo fu riconosciuto solo molto dopo e lui non ne fece mai un “titolo”».
Un’impresa eccezionale perché Gino era ormai «vecchio» per uno sportivo dell’epoca, aveva 34 anni, con una squadra considerata non forte: i pronostici lo snobbavano anche se Coppi non si era pre- sentato al via. «Quando tornò in Italia fu accolto come un eroe, ricevuto dal Papa e da De Gasperi, era popolarissimo — continua Goia — Anche settant’anni dopo quella vittoria emoziona ancora. E dalle lettere che ho ritrovato emerge ancora di più tutta la grandezza del campione, del marito, del babbo, dell’uomo. L’amore verso sua moglie e l’autentica fede in Dio, profonda, vissuta».
Le lettere, spiega la nipote di Gino, sono state conservate gelosamente da «nonna Adriana», la signora Adriana Bani che sposò Bartali nel 1940 a Firenze, e vanno dal 1938, quando Gino e Adriana erano fidanzati, al 1950. «Nonna è morta nel 2014 e tra le sue cose che ha dato a mio papà Andrea, anche lui purtroppo oggi non c’è più, c’era uno scatolone con lettere e cartoline. Pochi giorni fa le ho riprese in mano e guardato quelle di quel luglio 1948: lui mandava cartoline quasi tutti i giorni e lettere quando aveva più tempo, ad esempio nei giorni di riposo — racconta Gioia — Già babbo, quell’estate del ’48 non dimentica mai i suoi figli, indirizzando a mio papà Andrea e a mio zio Luigi cartoline che hanno scandito tutte le
tappe del Tour. Da Cannes ne invia una indirizzandola a Luigi, Andrea e Adriana Bartali, che erano in vacanza a Focette. “Tanti baci a tutti, papà” e altre due firme: Bartolo Paschetta, libraio romano di testi di arte sacra e libri in latino, molto vicino al Vaticano e al Santo Padre; e Primo Volpi, suo compagno di squadra, il vecchione n.2 dato che l’appellativo di
vecchione n.1 era stato riservato a mio nonno».
Il 6 luglio è giorno di riposo e Bartali dall’Hotel Le Sahel scrive una lettera alla moglie: «È bellissima, anche perché lui non parlava mai con nonna Adriana di sport e invece questa volta lo fa. E scrive di Coppi: La salute è veramente ottima. Credo che anche a me il mare mi abbia fatto bene, speriamo che la montagna mi faccia ancora meglio, ad ogni modo io sono ancora molto contento di me, povero vecchio con questi molti giovani. La speranza di far bene non la perderò certo ma credo che Coppi non arriverà mai a fare queste fatiche, lui è troppo sensibile. Peccato proprio che non sia venuto, altro che storielle». Il 7 di luglio c’è la tappa Biarritz–Lourdes vinta da Bartali che poi si recò al santuario di Lourdes per una preghiera
di ringraziamento. «E spedisce una bella cartolina i suoi ragazzi con l’immagine della basilica ed un saluto affettuoso: Ricordandovi caramente,
baci. Papà». Il giorno 9, altro riposo per i ciclisti; il campione che aveva già conquistato in carriera Giro e Tour, prende carta e penna. «E scrive ad Adriana: Tutto procede bene solo i minuti in classifica mi fanno un po’ paura dato che sono tutti contro il campionissimo tuo. Poi rivolge il pensiero agli emigrati italiani, accorsi in massa sulle strade a sostenerlo: Quanti farebbero forse anche a piedi queste tappe così dure pur di guadagnare anche una centesima parte di quello che guadagno io!? Quanti pericoli dici tu ci sono a correre e bene, ma forse non ci sono tanti altri esseri umani, disgraziati tutti i giorni, che non sono corridori e che mancano come me da casa per gli stessi giorni ed hanno tutti una casa, figli e famiglia? Vorrei tu potessi vedere quello che è e che può essere questa corsa, la manifestazione stessa di questi italiani all’estero piangere per la gioia di vedermi vincere, sia pure una tappa.
Fai conto essi sì sono liberi, ma sempre mal visti perché considerati stranieri. Sentissi a noi quante volte ci chiamano mercenari perché vinciamo sui loro campioni e poi quante e quante cose ingiuste ci fanno! Ma non fa niente io ho nel mio cuore il pensiero sempre a S.Teresina ed essa, con le preghiere alla Nostra Madre Santissima, mi raccomanda e mi da come vedi la forza necessaria per credere alla sua protezione”. Altro che “Gino il pio” come lo dipingevano, per contrapporlo a Coppi».
«Gino Bartali, mio nonno, rivive tra le righe di queste lettere e il suo successo al Tour de France placò gli animi salvando l’Italia da una rivoluzione. Lo ha fatto pedalando con forza e determinazione, sue caratteristiche da sempre — conclude Gioia Bartali — Da nipote parlo di lui con profonda gratitudine e affetto, come ha sempre fatto anche mio padre Andrea. Gino Bartali era un uomo semplice e buono: un grande esempio per tutti, allora come oggi. Per questo bisogna ricordarlo a 70 anni da quei giorni in Francia e in Italia». Da quel Tour che Bartali definiva sempre «la più bella avventura della mia vita».