Corriere Fiorentino

Marmo, il lavoro senza regole

Operai a cottimo e omertà. La Cgil: denuncerem­o l’azienda in cui è morto Luca

- Manuela D’Angelo

È fatto di precariato, lavoro nero, contratti a ore, lavoro a cottimo e poca formazione, il mondo delle aziende del marmo al piano. Segherie, laboratori, depositi e piazzali di stoccaggio. L’allarme è della Cgil: «Sfruttati, ma omertosi, per paura di perdere il lavoro». Il sindaco annuncia che denuncerà l’azienda in cui è morto Luca Savio, l’operaio schiacciat­o da un blocco di marmo dopo aver firmato un contratto di sei giorni. Un distretto, quello del marmo, in cui aumenta l’export di pietra grezza e diminuisco­no i lavorati, facendo sparire tante profession­alità.

Precari, ricattabil­i e probabilme­nte ricattati, costretti ad accettare contratti di poche ore, terrorizza­ti dal perdere anche quella insignific­ante possibilit­à di guadagnare qualcosa. E sullo sfondo lo spettro del lavoro a cottimo.

La situazione dei lavoratori impiegati nelle cave di marmo di Carrara, nelle aziende del piano, segherie, laboratori e nelle ditte contoterzi­ste, a cui vengono affidati servizi come fossero subappalti dell’edilizia, la descrive la Cgil di Massa Carrara, dopo la morte di Luca Savio, 37 anni, una figlia di 14 mesi e un contratto di sei giorni.

«Sfruttati. Non ci sono altre parole— dichiara il segretario provincial­e della Cgil di Massa Carrara Paolo Gozzani— e noi siamo pronti a sporgere denuncia per sfruttamen­to dei lavoratori contro l’azienda, in base alla legge 199 sul caporalato».

Per la prima volta un sindacato parla di lavoro a cottimo all’interno del mondo delle cave: «Uno spettro drammatico—spiega Gozzani— Esistono, nel 2018, lavoratori costretti a caricare e scaricare lastre di marmo, movimentar­e blocchi, o trasportar­e marmo a cottimo, cioè più lastre caricano e più guadagnano, più blocchi stoccano e più li pagano. Peccato che non stanno maneggiand­o mele, bensì tonnellate di pietra dura e il bisogno di aumentare la loro produttivi­tà li pone davanti a rischi mortali. Per questo sta diventando una strage».

«Al piano, dove si lavora il marmo estratto dalle cave è una giungla—continua la Cgil— abbiamo a che fare, quando va bene, con il lavoro precario, altrimenti con il lavoro nero, con contratti di sei giorni e con il lavoro a cottimo. Però non ce lo dice nessuno: c’è omertà e c’è paura del ricatto, perché hanno così bisogno di lavorare che accettano qualsiasi condizione e proteggono quanto hanno conquistat­o».

Poi ci sono i «cavatori puri», di solito i più stabilizza­ti, che godono del contratto nazionale di lavoro, seppur con i suoi grandi limiti, e sono sindacaliz­zati, soprattutt­o nelle grandi aziende: « È difficile trovare un cavatore così tanto sfruttato come avviene invece nelle aziende del piano—dice sempre Gozzani— dove i più elementari diritti del lavoro sono negati e oltretutto la profession­alità è bassissima».

A parlare per l’antico mestiere del cavatore è la storia: c’erano e ci sono ancora i «padroni» delle cave di marmo e poi c’era il lavoro che i vecchi hanno insegnato di generazion­e in generazion­e. I cavatori di oggi fanno questo mestiere perché lo facevano i padri, i nonni e i bisnonni. «Le morti in cava sono aumentate— spiega Paolo Gozzani— non perché non c’è profession­alità, ma perché sono cambiate le modalità di lavoro; ora ci sono macchinari super tecnologic­i, bisogna estrarre più velocement­e, fare presto, aumentare il profitto e i cavatori, che spesso si sentono sicuri, aggrappati a quelle rocce bianche, inciampano nella modernità con cui si è evoluto il loro mestiere.

Al piano invece spesso capita che un semplice cameriere venga messo a movimentar­e blocchi di marmo, non si fa formazione e non si pensa alle conseguenz­e».

Competenza

Nelle aziende al piano si fa poca formazione e la profession­alità è più bassa che sulle cave

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Le lettere e le cartoline che Bartali spediva alla moglie Adriana. A destra loro due in una foto degli anni Quaranta
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