Marmo, il lavoro senza regole
Operai a cottimo e omertà. La Cgil: denunceremo l’azienda in cui è morto Luca
È fatto di precariato, lavoro nero, contratti a ore, lavoro a cottimo e poca formazione, il mondo delle aziende del marmo al piano. Segherie, laboratori, depositi e piazzali di stoccaggio. L’allarme è della Cgil: «Sfruttati, ma omertosi, per paura di perdere il lavoro». Il sindaco annuncia che denuncerà l’azienda in cui è morto Luca Savio, l’operaio schiacciato da un blocco di marmo dopo aver firmato un contratto di sei giorni. Un distretto, quello del marmo, in cui aumenta l’export di pietra grezza e diminuiscono i lavorati, facendo sparire tante professionalità.
Precari, ricattabili e probabilmente ricattati, costretti ad accettare contratti di poche ore, terrorizzati dal perdere anche quella insignificante possibilità di guadagnare qualcosa. E sullo sfondo lo spettro del lavoro a cottimo.
La situazione dei lavoratori impiegati nelle cave di marmo di Carrara, nelle aziende del piano, segherie, laboratori e nelle ditte contoterziste, a cui vengono affidati servizi come fossero subappalti dell’edilizia, la descrive la Cgil di Massa Carrara, dopo la morte di Luca Savio, 37 anni, una figlia di 14 mesi e un contratto di sei giorni.
«Sfruttati. Non ci sono altre parole— dichiara il segretario provinciale della Cgil di Massa Carrara Paolo Gozzani— e noi siamo pronti a sporgere denuncia per sfruttamento dei lavoratori contro l’azienda, in base alla legge 199 sul caporalato».
Per la prima volta un sindacato parla di lavoro a cottimo all’interno del mondo delle cave: «Uno spettro drammatico—spiega Gozzani— Esistono, nel 2018, lavoratori costretti a caricare e scaricare lastre di marmo, movimentare blocchi, o trasportare marmo a cottimo, cioè più lastre caricano e più guadagnano, più blocchi stoccano e più li pagano. Peccato che non stanno maneggiando mele, bensì tonnellate di pietra dura e il bisogno di aumentare la loro produttività li pone davanti a rischi mortali. Per questo sta diventando una strage».
«Al piano, dove si lavora il marmo estratto dalle cave è una giungla—continua la Cgil— abbiamo a che fare, quando va bene, con il lavoro precario, altrimenti con il lavoro nero, con contratti di sei giorni e con il lavoro a cottimo. Però non ce lo dice nessuno: c’è omertà e c’è paura del ricatto, perché hanno così bisogno di lavorare che accettano qualsiasi condizione e proteggono quanto hanno conquistato».
Poi ci sono i «cavatori puri», di solito i più stabilizzati, che godono del contratto nazionale di lavoro, seppur con i suoi grandi limiti, e sono sindacalizzati, soprattutto nelle grandi aziende: « È difficile trovare un cavatore così tanto sfruttato come avviene invece nelle aziende del piano—dice sempre Gozzani— dove i più elementari diritti del lavoro sono negati e oltretutto la professionalità è bassissima».
A parlare per l’antico mestiere del cavatore è la storia: c’erano e ci sono ancora i «padroni» delle cave di marmo e poi c’era il lavoro che i vecchi hanno insegnato di generazione in generazione. I cavatori di oggi fanno questo mestiere perché lo facevano i padri, i nonni e i bisnonni. «Le morti in cava sono aumentate— spiega Paolo Gozzani— non perché non c’è professionalità, ma perché sono cambiate le modalità di lavoro; ora ci sono macchinari super tecnologici, bisogna estrarre più velocemente, fare presto, aumentare il profitto e i cavatori, che spesso si sentono sicuri, aggrappati a quelle rocce bianche, inciampano nella modernità con cui si è evoluto il loro mestiere.
Al piano invece spesso capita che un semplice cameriere venga messo a movimentare blocchi di marmo, non si fa formazione e non si pensa alle conseguenze».
Competenza
Nelle aziende al piano si fa poca formazione e la professionalità è più bassa che sulle cave