UNA LEGA DA ESPORTAZIONE (CON LO SLOGAN NO GLOBAL)
Cronaca, cronaca politica. Dai palazzi romani, ma anche dalle piazze (e da qualche retrobottega) di tutta Italia. Per capire che cosa ci è successo nell’ultima settimana. E cosa c’è da aspettarsi da quella successiva
Matteo Salvini, lo annotavamo già qualche settimana fa, assomiglia in parte a un altro Matteo, quello che di cognome fa Renzi. Non nelle idee, naturalmente, ma nel percorso. Entrambi hanno conquistato la leadership dei loro partiti camminando sulle macerie dei predecessori, promettendo una rottura del paradigma politico e comunicativo, presentandosi come un’alternativa all’establishment variamente inteso. Il problema è che mantenere un profilo anti-sistema restando a Palazzo Chigi e dintorni può essere molto complicato. La storia di Matteo Renzi, ex giovane speranza del centrosinistra italiano, sta lì a dimostrarlo.
Salvini adesso punta al cuore dell’Europa (come Renzi quasi cinque anni fa) e dice che vuole costruire una «Lega delle Leghe», una Lega d’Europa. Non è un caso, naturalmente. Il prossimo anno ci sono le elezioni Europee che potrebbero cambiare il volto dell’Europarlamento. Secondo un’analisi dell’Istituto Cattaneo, tra i partiti critici o più scettici verso il progetto dell’Ue, si nota anzitutto l’espansione dei gruppi di destra o centrodestra, che potrebbero passare dall’attuale 16,5% dei seggi a poco meno di un quarto di eurodeputati nella prossima legislatura (24%). Non un’«ondata nera», ma una crescita significativa sì. Il segretario della Lega, che cresce nei sondaggi a discapito degli alleati di governo, ha di fronte a sé alcune solide opportunità da cogliere. Può continuare ad aumentare i propri voti fino a superare effettivamente il partito fondato dal Casalgrillo. Già le elezioni di marzo hanno certificato che la Lega è il partito che è cresciuto di più negli ultimi 5 anni, passando da 1.390.534 voti a 5.691.921: sono 4.301.387 voti nuovi in più.
Salvini può dunque diventare, se già non lo è diventato, il nuovo capo del centrodestra italiano, ma non solo. Il ministro dell’Interno ha spostato il baricentro della sua coalizione a destra, tant’è che gli alleati di Fratelli d’Italia, eredi della tradizione post-fascista del Movimento Sociale Italiano e di An, fanno fatica a distinguersi. «Siamo noi gli eredi della storia della destra politica italiana, Giorgia Meloni è stata una dirigente giovanile di An, ma con Matteo Salvini in auge abbiamo difficoltà a essere riconosciuti come tali», ha detto il deputato Achille Totaro nei giorni scorsi. «“Prima gli italiani” lo dicevamo noi già 20 o 30 anni fa. Adesso se qualcuno mi chiede di che parte sono e rispondo “sono di destra” pensa che io sia con Salvini. E invece no, devo specificare che sono un parlamentare eletto con Fratelli d’Italia». C’è poco da dire, «Salvini è diventato il catalizzatore della destra in Italia». Non è solo questione di parole d’ordine ma anche di personale politico. Negli ultimi anni, Salvini ha attratto ex An di ogni corrente e grado. Qualcuno ha aspettato che si sciogliesse il vecchio partito, come Jacopo Alberti, consigliere regionale leghista in Toscana, che transitò da An alla Lega già nel 2008. Salvini può dunque contare su un bacino di voti esterno a quello tradizionale della vecchia Lega Nord, questa è la sua vera innovazione. La Lega delle Leghe è, per il momento, un progetto scenografico. Perché Salvini è più interessato a conquistare città di sinistra come Siena e Pisa.
Il ministro dell’Interno è tutto proiettato sulla costruzione di un consenso interno, su più fronti. Nella sua coalizione, nel rapporto con gli alleati del M5S, e nella sfida con gli avversari progressisti, attualmente senza leadership e senza grandi idee. L’abilità di Salvini sta nel far diventare mainstream nell’elettorato italiano le preoccupazioni sull’immigrazione e la sicurezza, denunciando un’invasione da parte di migranti e rifugiati. In questo può trovare validi alleati in Europa e anche se probabilmente non ha un disegno organico di ricostruzione dell’Unione Europea — alcuni tra i suoi dirigenti di partito semplicemente vorrebbero uscirne, così come vorrebbero uscire dalla zona euro — è evidente che i suoi compagni d’avventura populisti, come il gruppo di Visegrad, possono essergli utili anche per perseguire suoi interessi di bottega. Anche Renzi aveva provato a intestarsi una battaglia cercando di creare una squadra con i socialisti europei, salvo scoprire che i progressisti sono stati via via sconfitti. Gli alleati di Salvini sono invece in ottima forma. Ma in Europa è incorso un pericoloso processo dir i nazionalizzazione degli Stati, quindi il progetto di Lega delle Leghe appare poco credibile. I sovranisti badano soprattutto al proprio «particulare», per dirla con Francesco Guicciardini.
Il progetto dell’Eurolega comunque nasce da lontano. Il 28 gennaio 2016 a Milano, la Lega organizzò un convegno dal titolo «Più liberi, più forti!». Il sottotitolo dell’incontro era di quelli altermondialisti, quasi da no global: «Un’altra Europa è possibile». Oltre a Marine Le Pen, c’era la «meglio gioventù» dell’eurodestra euroscettica, anti-immigrazione e anti-islamica: Laurentiu Constantin Rebega, di Initiatorul Miscarii Forta Nationala; Tomio Okamura di Spd, Janice Atkinson, Independent MEP per il South-East England; Michał Marusik, del Kongres Nowej Prawicy. Tom van Grieken del Vlaams Belang; Marcel de Graaf del PVV, Heinz-Christian Strache del Fpö. Più nascosti c’erano anche gli emissari di Vladimir Putin, con cui Salvini da tempo ha ottimi rapporti. I diplomatici russi Alexey Komov e Alexander Avdeev erano tra il pubblico. Non due personaggi qualsiasi del partito Russia Unita del regime putiniano: il primo è incaricato all’Onu per la difesa della famiglia tradizionale, noto per le sue battaglie anti-gender; il secondo è stato scelto da Putin per gestire le relazioni con il Vaticano. Ecco, il grande nemico di questi partiti, compreso quello di Salvini, sono le migrazioni. Il capo della Lega intende presentare le prossime elezioni europee come uno scontro fra «élite e popolo», da una parte il tradizionale blocco liberale, socialdemocratico che ha governato finora l’Europa — definito sprezzantemente «tecnocratico» dagli avversari — e le sue istituzioni a Bruxelles, dall’altra un «popolo», di cui Salvini sarebbe portavoce, aggredito dall’immigrazione. L’affermazione dei sovranisti, anche senza un progetto ideologico comune, realizzerebbe lo scenario descritto dal politologo Ivan Krastev in «After Europe». Finora la letteratura distopica non ha preso mai in considerazione l’ipotesi di una disgregazione dell’Europa, ma la crisi dei rifugiati, scrive Krastev, «è l’11 Settembre europeo». Salvini e i suoi amici sono pronti a trasformare quella distopia in triste realtà. A meno che non si ripeta il destino di Renzi, bruciato dalla sua hubris.
La vera innovazione di Salvini è che può contare su un bacino di voti esterno a quello tradizionale della vecchia Lega Nord Ora il leader del Carroccio vuole trasformare le Europee del 2019 in uno scontro tra blocco socialdemocratico e liberale da una parte e sovranisti dall’altra