Beato chi ha una sua identità
L’intervento L’architetto Peluffo e il dialogo Occidente-Islam nel suo progetto in mostra al museo del ‘900
Blessed are those who have an identity. Beati coloro i quali hanno un’identità. Con questa frase inizio da tempo presentazioni e conferenze sul nostro lavoro. Il significato è diretto e politico: solo chi ha un senso di appartenenza forte a una propria genealogia culturale può, con limpidezza, produttività e utilità collettiva, dialogare con chi ha diversa cultura, opinioni, tradizioni e religione. Non si tratta semplicemente di accogliere, ma di costruire i luoghi del dialogo, i suoi spazi e i suoi simboli. E la costruzione di questi luoghi e simboli, fisici, porta con sé la necessità di inventare un «linguaggio specifico» atto a praticare questo dialogo.
Ogni condizione, committente, luogo, città e paesaggio implicano un atteggiamento inclusivo e sintetico, ovvero un aprirsi alla percezione e all’ascolto, per poi creare una sintesi progettuale, estetica, e significante. Nel nostro progettare il punto di partenza dell’atto creativo è sempre quello di porsi come spettatore e interprete del territorio, del paesaggio, per incorporarlo nel progetto. Per questo motivo le intenzioni sono quelle di «fondere gli orizzonti», ovverosia rendere non solo compatibili, ma anche interconnesse, comunicanti e reciprocamente arricchenti le differenti funzioni, identità, in simbiosi con il tema della città e del paesaggio. Questo è l’atteggiamento che abbiamo proposto, sperimentato, utilizzato e affinato nei tre progetti in Egitto, che sono in mostra al Museo Novecento.
Innanzitutto, la fondazione di una città Il Monte Galala presso Sokhna, sul Mar Rosso e della sua nuova Moschea, commissionati entrambi dalla società egiziana Tatweer Misr e in corso di costruzione. Il terzo progetto riguarda, infine, il Museo della Battaglia di El Alamein situato sulla costa del Mediterraneo, commissionato dal Ministry of Housing and New Urban Communities of Egypt, un progetto in corso, mentre la New Town di El Alamein è in via di realizzazione, con la consulenza architettonica sempre di Peluffo&Partners.
Il Monte Galala è considerato, in prospettiva, uno dei maggiori centri residenziali in via di sviluppo nella Regione di Sokhna, lungo la costa del Mar Rosso in Egitto e si sviluppa su un’area di circa 2,2 milioni di metri fra strutture ricettive, residenziali oltre a un polo universitario, una marina sviluppata su circa 1 Km di costa. Le foto di cantiere di Ernesta Caviola, in mostra, esprimono questo spirito e il dialogo fra architettura e paesaggio esistente, una rocciosa montagna desertica sul mare. Il progetto de Il Monte Galala si è aggiudicato nel 2016 il Dubai Cityscape Award come miglior Masterplan dell’area Medio-Orientale. Il progetto della Moschea di Sokhna è quello che, in particolare, rappresenta più direttamente il Chiasma, ovvero la connessione e dialogo fra orizzonti diversi. Il nostro cliente, Tatweer Misr, dopo averci messo alla prova sul Masterplan, sull’architettura delle residenze, del paesaggio e degli edifici turistici, ha deciso di affidarsi al nostro approccio con quanto di più identitario e fondativo per loro esista: la progettazione e costruzione di una Moschea che proprio in quanto edificazione di uno spazio per una cultura e una specifica religione, diviene automaticamente un tema di dialogo con le culture «altre», sia in termini di integrazione che di conoscenza delle rispettive identità. Il recente esempio della Moschea di Trino Vercellese, dove si è arrivati, attraverso il dialogo, a una condivisione dello spazio priva di separazione fisica fra donne e uomini, rappresenta felicemente il meccanismo virtuoso di fusione degli orizzonti nel rispetto delle rispettive religioni, che la costruzione fisica dei luoghi e degli spazi è in grado di innescare. Se ci pensiamo, questo accadere si inlore serisce nella tradizione felice dei creativi italiani, che hanno sempre portato una modalità genealogica specifica in ogni parte del mondo, senza mai, nei casi più felici, imporre un approccio coloniale, ovvero impositivo e prevaricante, ma declinando linguaggi nella luce, nella cultura, nell’umanità dei luoghi stranieri praticati. Nel caso della Moschea, l’assenza di un portato figurativo sposta il tema su elementi percettivi come la luce, il silenzio, il tatto, ovvero l’inginocchiarsi, il camminare a piedi scalzi, il rivolgersi in una specifica direzione che è «altrove» rispetto all’edificio.
Tradurre questi meccanismi percettivi in spazio e linguaggio architettonico è stata la sfida, declinata nella materia fisica e non astratta della costruzione, nella luce, nel co- e nell’assialità dell’impianto. Il modello in terracotta che presentiamo in Mostra al Museo Novecento di Firenze è da una parte profondamente locale e specifico (il nostro Laboratorio, l’ex Studio di Lucio Fontana, è ad Albissola, città della ceramica, ed è realizzato a 4/6 mani con l’artigiano e artista Danilo Trogu) dall’altra arcaico e infantile, essendo la terracotta un materiale universale e condiviso da tutte le culture della terra, proprio come primo atto di plastificare e formare. Fare questo modello in ceramica ci avvicina ogni volta allo spirito del progetto, rendendolo comprensibile e condiviso. È come voler eliminare gradi di astrazione estetica, tipica dei modelli e dei disegni di architettura, per mettere nelle mani del cliente e del cittadino, una materia conosciuta che permetta proprio la condivisione percettiva e spirituale del progetto. Il «tavolo dell’architetto», come recita il titolo del progetto di Sergio Risaliti a cura di Laura Andreini, è luogo di sintesi e lettura dei tre progetti, attraverso una sorta di «capsula di Petri» di immagini, spirito e materia della costruzione raccolta in 4 volumi da sfogliare con differenti e liberi gradi di attenzione. La mostra si sviluppa in un dialogo fra le foto di Ernesta Caviola relative all’avanzamento dei lavori di realizzazione della fondazione della città di Sokhna, l’intervento artistico di Adriano Bocca, consulente per gli aspetti artistici della Moschea, fino al modello in terracotta di Danilo Trogu della stessa Moschea, affiancati dai disegni dei tre progetti.
*L’autore è l’architetto i cui progetti sono in mostra in questi giorni al Museo Novecento di Firenze.
Esperimenti È esempio di una dialettica virtuosa il caso di Trino Vercellese, dove si è arrivati a una condivisione dello spazio senza separazione fra donne e uomini