L’allergologo Bernardini: «C’è scarsa informazione e occorre una legge»
L’allergologo Bernardini e la morte di Chiara: basta improvvisazioni, non è un male minore
«Bisogna parlarne. Tanto e con consapevolezza, senza sottovalutare niente. Bisogna istruire genitori, insegnanti, amici e società a riconoscere in tempo i sintomi di uno choc anafilattico, a saper fare una puntura di adrenalina, a rendere chiara la lista degli allergeni presenti nei cibi. Bisogna che nelle scuole possa entrare il kit salva vita. Perché un allergico grave può morire e spesso muore, come nel caso di Chiara Ribechini, non perché non è stato attento ma perché altri non sono stati attenti e il cibo è stato contaminato».
Le parole di Roberto Bernardini, primario di pediatria dell’ospedale di Empoli e coordinatore regionale della Società italiana di allergologia e immunologia pediatrica, sono chiare e rispondono all’appello dei genitori di Chiara, che ieri hanno detto: «La morte di nostra figlia non sia vana, queste allergie sono molto diffuse eppure sottovalutate».
Negli ultimi anni, i casi di bambini, che spesso diventano adulti allergici, sono aumentati molto: professore, perché si tende a considerare l’allergia un male minore?
«Tutti si improvvisano allergologi. Tuo figlio ha un occhio gonfio? La vicina di casa ti dirà che è allergico. Esiste un 30 per cento di persone che sono etichettati come allergici e non lo sono. Così quando ‘guariscono’, ma non erano malati, nell’immaginario collettivo si radica questa convinzione: l’allergia va e viene, è un fastidio ma poi passa, di certo non si muore. Questo va a scapito di un altro 30 per cento veramente allergico, all’interno del quale ci sono quelli gravi che rischiano la propria vita. E queste sono le persone che dobbiamo tutelare, di cui dobbiamo parlare, perché la consapevolezza di chi sta intorno può salvarli»
I suoi pazienti sono bambini, a volte anche molto piccoli. Come li «educa» alle allergie gravi?
«Il bambino, anche se è piccolo, deve sapere cosa può succedere se mangia l’alimento sbagliato. E soprattutto deve sapersi fare da solo le iniezioni di adrenalina. Io impiego ore a fare i corsi ai genitori e ai figli: illustro i sintomi, li rassicuro ma li rendo consapevoli, faccio vedere praticamente come si esegue una puntura e lo faccio fare a loro. Queste ore non sono perse, è tempo speso a insegnare come si salva una vita».
Com’è possibile che nelle scuole non si possa portare il kit con l’adrenalina se c’è un bambino allergico grave e che le insegnanti non siano formate a far fronte all’emergenza?
«È una grave lacuna legislativa. Nelle zone dell’Empolese io, chiamato dai genitori dei miei pazienti, usavo il mio tempo libero per andare nelle scuole elementari e medie, e fare corsi di formazione alle insegnanti. Ma non ci si dovrebbe affidare alla volontarietà dei medici, o ai solleciti dei genitori per creare consapevolezza. Servirebbe una lege: così come si fanno i corsi di pronto soccorso, come ci sono i kit dell’emergenza, dovrebbero essere presenti nelle scuole e non solo anche l’adrenalina e il bronco dilatatore e il personale dovrebbe saperlo usare».
E se nell’iniettare il farmaco andasse male qualcosa che tutele ci sono?
«Una legge dovrebbe codificare anche situazioni molto gravi in cui somministrare il farmaco senza rischiare».
Qual è il comportamento da tenere in caso di choc anafilattico?
«Intanto, non partire subito con la macchina per il primo pronto soccorso ma alzare la cornetta e chiamare l’ambulanza. Nel tempo in cui sta per arrivare, bisogna sdraiare l’allergico, con le gambe in alto e praticare l’iniezione di adrenalina nella fascia laterale della coscia. Poi, va usato il bronco dilatatore per evitare la crisi respiratoria, che è la principale causa di morte».
Un allergico grave ha la possibilità di guarire?
«Guarire no, ma per alcune allergie, per esempio latte, uova, nocciole, esiste la desensibilizzazione. Ovvero, la possibilità di poter tollerare in modo totale o in modo parziale tali alimenti».
Un allergico grave muore perché altri non sono stati attenti. Può salvarlo la consapevolezza di chi gli sta intorno