Corriere Fiorentino

Del Rey, la prof filosofa «A scuola oltre il giudizio»

Contesta i criteri con cui si misurano le competenze dei ragazzi. Lei è Angélique Del Rey Di questo e del suo libro «La Tirannia della valutazion­e» parlerà il 2 al Festival della Mente di Sarzana

- Di Chiara Dino

Premessa: Angélique Del Rey non vive fuori dal mondo, non si sottrae agli obblighi che implica il suo mestiere di prof. Insegna filosofia tra Parigi e Buenos Aires, ma cerca di interpreta­rli al meglio perché è convinta che il ruolo della scuola, innanzi tutto, e della sua materia sopra tutte, sia quello di aiutare i ragazzi a «saper essere» più che a «saper fare» nell’ottica di un’auspicabil­e collocazio­ne profession­ale. Rivoluzion­ario? Oggi, nella scuola e nella società della valutazion­e continua, quantifica­ta e comparata da nazione a nazione anche grazie per esempio ai test Invalsi introdotti in Italia dal ministro Pd Giuseppe Fioroni, potrebbe sembrare di sì, ma a sentirla parlare ci si accorge che dice cose di buon senso. E le dirà queste stesse cose a Sarzana dove è ospite del «Festival della Mente» quest’anno dedicato al concetto di comunità, in programma dal 31 agosto al 2 settembre. Lei parlerà il 2 alle 10 al Campus I.I.S. Parentucel­li-Arzelà, partendo dal suo libro La tirannia della valutazion­e ( tradotto in Italia da elèuthera nel 2018 e uscito in Francia nel 2103).

Perché lei parla di tirannia della valutazion­e?

«Foucault parlava della valutazion­e come un nuovo dispositiv­o del potere. Si valuta per capire se un individuo è adatto al mercato del lavoro o meno, per capire se le competenze acquisite siano funzionali alla produzione, appiattend­o la diversità di ciascuno e la specificit­à territoria­le di ciascuna cultura».

Ma una scuola e una società senza valutazion­e come fanno a selezionar­e la classe dirigente, a mettere il mondo moderno nella condizione di fare?

«La valutazion­e è essenziale, ma vanno capite due cose. È un’acquisizio­ne recente del mondo moderno che ha cercato di sostituire il diritto per nascita a ricoprire certi ruoli, al diritto per merito. Un passo molto importante per il raggiungim­ento dell’uguaglianz­a e della libertà degli individui, ma un passo della storia. Oggi si tende a dire ai ragazzi che quello della valutazion­e è un principio quasi naturale, non è così. È bene che loro lo sappiano».

Cosa devono sapere?

«Che se vengono valutati e poi selezionat­i per un certo incarico è frutto di una scelta di indirizzo politico, che non ha alcun nesso con il valore della loro persona».

Lei come fa a valutare i suoi allievi?

«Metto loro dei voti e dei giudizi, certo, perché è questo che la scuola mi impone, ma, e questo è il punto fondamenta­le, decido insieme con loro quali sono i criteri di valutazion­e da applicare. Se questi criteri non cadono dall’alto, ma nascono da una scelta condivisa la loro accettazio­ne e la loro comprensio­ne cambia completame­nte. Riporto al centro il ruolo della comunità, quella della classe nel mio caso, dei legami che si creano anche attraverso una decisione condivisa».

E cosa ne viene fuori, per sua esperienza, come si decide, nelle sue classi, di considerar­e un buon criterio di valutazion­e?

«Mi interessa riuscire a trasmetter­e loro l’interesse per la filosofia, è un processo che si svolge da persona a persona, dentro la nostra comunitàcl­asse. Cerco il più possibile, almeno per il periodo scolastico, di ricordare a me stessa e ai ragazzi che l’assunto secondo cui la scuola è in rapporto

 Stabilisco quali sono le conoscenze degli studenti perché devo farlo, ma decido insieme con loro il metro secondo cui vanno osservate e considerat­e

stretto con il lavoro è una consuetudi­ne della nostra società che parla di “capitale umano”, non a caso. Mi interessa il dibattito, la trasmissio­ne delle idee, la formazione della personalit­à. Valuto e valutiamo insieme questo».

È un processo inverso a quello che, in Italia, ha visto introdurre i test Invalsi per comparare le competenze dei nostri ragazzi nelle varie regioni del territorio nazionale e in definitiva per valutare, se il nostro sistema educativo è al passo coi tempi ed efficace...

«Sì, esatto, a un sistema il più possibile globale io oppongo un approccio più territoria­le. Credo che la crescita di un individuo abbia a che fare con le competenze certo, ma anche con la consapevol­ezza di chi si è, della storia propria e del territorio dove siamo nati e viviamo. Il punto è metterci d’accordo su un punto: come sono nate queste forme di valutazion­e? È bene che ricordiamo che sono nate perché volute da istituzion­i commercial­i e non educative. Si tratta di storicizza­re le cose, perché anche i ragazzi sappiano che è una convenzion­e quel test che gli viene sottoposto e che non ha nulla a che vedere con il loro valore reale. Questo serve a non creare disagi dannosi, un’infelicità diffusa che non fa bene a nessuno. E che dura nel tempo visto che tutti noi siamo sottoposti a valutazion­i continue anche nel corso della nostra vita lavorativa. Sembra che attraverso questi test si possa prevedere se un giovane potrà riuscire nella vita.

E non è così?

«Sono secoli che la filosofia si pone questa domanda. Cosa significa riuscire nella vita? E sono secoli che le risposte non sono univoche, se ne propongono sempre di diverse».

 Sembra che attraverso dei test si possa prevedere se un giovane riuscirà nella vita ma da secoli la filosofia si pone questa domanda e non trova risposta

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 ??  ?? L’artistaNge Lay «The sick classroom» (L’aula malata), installazi­one del 2013
L’artistaNge Lay «The sick classroom» (L’aula malata), installazi­one del 2013

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