Liliana Segre e la memoria delle leggi razziali, 80 anni dopo San Rossore
Intervista Liliana Segre, testimone della Shoah, ricorda il giorno delle leggi contro gli ebrei «Venivo da una famiglia laica, scoprii allora di essere ebrea e piansi con il babbo»
«I troppi impegni di queste settimane mi rendono impossibile garantire una presenza. L’evento ha però un valore simbolico altissimo, che deve essere riconosciuto». Il 20 settembre il mondo accademico italiano sarà a Pisa, nel Cortile del Palazzo della Sapienza dell’Università, per la «Cerimonia del Ricordo e delle Scuse» durante la quale, su iniziativa dell’ateneo, in collaborazione con la Scuola Normale Superiore, la Scuola Superiore Sant’Anna e la Scuola IMT Alti studi Lucca, sarà ricordata la cacciata di studenti e docenti ebrei dalle aule per effetto delle Leggi razziali del fascismo nel 1938.
Con ogni probabilità Liliana Segre, testimone della Shoah e senatrice a vita dallo scorso gennaio, non potrà esserci. Ma, assicura, col pensiero sarà là. «Appena ho appreso di questa importante giornata — ci spiega Segre, 88 anni il prossimo 10 settembre — mi è tornato alla mente un episodio di quei giorni. L’esclusione da scuola per noi ebrei era stata da poco sancita e mio padre, vedendomi affranta, si era prodigato affinché quella che consideravo un po’ una seconda mamma, la maestra dell’istituto elementare da cui ero stata appena buttata fuori, venisse a casa nostra per consolarmi. Accadde tutt’altro: invece di un abbraccio e di una qualsiasi manifestazione di solidarietà, fui costretta ad ascoltare le seguenti parole: “Non ho colpe, mica le ho scritte io le Leggi”. Sono passati 80 anni e ricordo questo momento come ieri».
La reazione istintiva fu un pianto senza freni. Oggi, elaborate tutte le drammatiche esperienze della sua vita — il tentativo di espatrio in Svizzera fallito per il respingimento delle guardie di frontiera ticinesi, la deportazione dalla Stazione Centrale di Milano ad Auschwitz-Birkenau, l’annientamento nel lager dei suoi cari — la senatrice sa che in atteggiamenti come questo si rivela senza possibilità di equivoco «la piaga dell’indifferenza, un morbo contro cui mi sono sempre battuta e contro cui non smetterò mai di lottare».
La scelta di Pisa non è casuale. Le Leggi presero la strada dell’ufficialità da qui, dalla tenuta di San Rossore dove Vittorio Emanuele III amava trascorre il tempo libero e dove, il 5 settembre del ‘38, pose senza fiatare la propria firma all’apposito Regio decreto. È toscano quindi il primo atto del processo di emarginazione e persecuzione che, nel giro di pochi anni, avrebbe portato alla Shoah. «Quel giorno — spiega la senatrice — smisi di essere una bambina. E in qualche modo, provenendo da una famiglia laica, che non attribuiva troppo valore alla religione, scoprii pure di essere ebrea. Cito Primo Levi: “Ho capito in quel momento chi fossi”. Per me fu lo stesso». Oggi, nell’aula del Senato, ma anche nei numerosi incontri con giovani e scolaresche in tutta Italia, quel bagaglio di esperienze, anche le più intime e laceranti, si sforza di condividerle con l’obiettivo di lasciare un messaggio a chi la ascolta. «Purtroppo, ma ho il dovere di essere sincera, non sono troppo ottimista. Sentimenti razzisti ci sono sempre stati, l’Italia non è poi cambiata molto da allora: forse l’errore è stato far finta di non vederli, ignorare i ripetuti segnali, sottovalutarne la portata. Il risultato è che adesso non ci si vergogna quasi più a ostentare odio. È anzi diventato un motivo di vanto».
La senatrice segue con attenzione anche quanto sta avvenendo in Toscana. Le iniziative di gruppi estremisti come Forza Nuova, artefici di veri atti di intimidazione nei confronti di chi pratica accoglienza, come nel caso dello striscione recentemente affisso sul portone del vescovado di Pistoia, la «fanno rabbrividire». E il problema maggiore, aggiunge, «è che iniziative come questa trovano tanti pronti a giustificarle, tanti che in quelle parole e in quei messaggi si riconoscono».
Non si fa illusioni, Liliana. «Ci attendono tempi difficili. Tempi in cui le parole, la razionalità e la logica rischiano di soggiacere rispetto a chi propaga messaggi violenti che incendiano gli animi. Ma non per questo bisogna smettere di impegnarsi per un futuro di pace, integrazione, ricomposizione di conflitti. Fare Memoria — sottolinea — è anche questo: battersi per un mondo migliore». La senatrice porta l’esempio di una realtà toscana, La Cittadella della Pace di Rondine (Arezzo), particolarmente attiva su questo fronte. «Una piccola località in cui si vive e coltiva una utopia in cui mi riconosco. Un gruppo di volontari che cerca di mettere a confronto, con un’attenzione particolare all’educazione, parti storicamente in conflitto: hutu e tutsi, russi ed ucraini, israeliani e palestinesi. Un’utopia? Forse sì, ma splendida».
Mio padre per consolarmi mi disse che avrebbe invitato la maestra a casa nostra Invece di un abbraccio fui costretta a sentire da lei queste parole: io non ho colpe non le ho scritte io le leggi
Sentimenti razzisti ci sono sempre stati, l’Italia non è poi cambiata molto da allora: forse l’errore è stato ignorare i segnali Adesso non c’è pudore a ostentare odio