Beethoven ve lo spiego io
Alfred Brendel, leggenda del pianoforte, oggi divulgatore di cultura musicale Nel suo giro del mondo di lezioni , oggi fa tappa a Pistoia. Con il Quartetto di Cremona
«Il compositore è più importante dell’interprete: è come un padre al quale bisogna rivolgersi con rispetto, affetto, attenzione, puntualità, deferenza. Se prendiamo il caso di Beethoven, più del novanta per cento lo troviamo già scritto sulla pagina, ed è ciò che dobbiamo leggere, comprendere, interiorizzare, restituire». È questo uno dei consigli aurei che ai musicisti delle generazioni più giovani dà Alfred Brendel, gigante e leggenda del pianoforte, 86 anni compiuti e 60 di carriera internazionale, ma sempre con lo stesso sguardo acuto, curioso e un po’ sornione dietro una spessa montatura. Oggi instancabile divulgatore giramondo di professione.
In questi giorni Brendel è a Pistoia, insegnante d’eccezione nel calendario di Master4Strings, masterclass per giovani musicisti da camera organizzata dal rinomato Quartetto di Cremona: oggi (ore 10-12.30 e 16.30-19), al Saloncino della Musica di Palazzo de’ Rossi (via de’ Rossi 26), Brendel terrà la sua ultima lezione del ciclo, aperta gratuitamente al pubblico. Un’occasione culturale di grande importanza e di significato internazionale per Pistoia. Ma di cosa parlerà Brendel confrontandosi con i giovani quartetti d’archi che partecipano al seminario? «Gli argomenti nasceranno dalle esecuzioni che ascolteremo con il pubblico e sulle quali ragioneremo insieme», risponde il maestro. «Ho specificamente richiesto di concentrare il lavoro sul periodo maturo e finale di Beethoven e Schubert, perché è davvero impressionante pensare che questi capolavori siano nati nella stessa città, Vienna, e nel giro di due anni e mezzo. A volte ci si dimentica che Schubert è nato quasi ventisette anni dopo Beethoven, ma è scomparso solo un anno e mezzo dopo: era tra coloro che ne portavano a spalla la bara. Ci sarà quindi modo di individuare alcune affinità fra questi due giganti della musica, e di capire meglio che cosa li differenzia».
Beethoven è uno degli autori ai quali Brendel si è dedicato con maggiori attenzioni, sia come interprete (ha registrato l’integrale delle Sonate per ben tre volte) che come autore di saggi: già perché lui, intellettuale a tutto tondo, di gusto e formazione mitteleuropea, di musica ha sempre scritto, oltre ad interpretarla, riuscendo far convivere le più acute riflessioni sull’interpretazione musicale ai più irresistibili aneddoti.
«Ho tentato una sintesi su Beethoven anche nel mio ultimo libro tradotto in italiano, Abbecedario di un pianista, definendolo “gran maestro della musica da camera, della sonata, della variazione e della sinfonia”. Rimango ogni volta stupefatto dalla sua originalità, dalla potenza della sua immaginazione, dall’ampiezza del suo percorso musicale. E anche dalla sua memoria: non ci sono mai, neanche lontanamente, ripetizioni tra un lavoro e l’altro. È importante anche riconoscere la sua capacità di coprire tutto lo spettro espressivo, dal comico al tragico, la sua sfida ricorrente nel rappresentare la natura, la sua facoltà di scandagliare l’animo umano con assoluta delicatezza. E il suo essere cerniera tra il passato il futuro, abbattendo anche i confini tra il profano e sublime». Brendel nasce a Wiesenberg, piccolo paese che oggi appartiene alla Repubblica Ceca; studi a Graz, abitazione da anni a Londra, e una carriera in tutto il mondo fino al 2009, l’anno in cui annuncia il suo ritiro dalle scene concertistiche: «Ho deciso di concludere il cammino di interprete pubblico perché volevo finire mentre ero ancora sicuro di avere il pieno controllo delle mie facoltà fisiche e mentali, di poter rendere al meglio ciò che volevo trasmettere all’ascoltatore, e non aspettare di essere costretto a farlo per forza di cose.
Una conseguenza ovviamente è stata quella di avere più tempo libero, ma non solo per l’insegnamento: anche per le conferenze, la scrittura, per vedere mostre, scoprire architetture e luoghi importanti della nostra cultura. Non ho mai rimpianto di aver smesso, anzi». Ma la scrittura per Brendel significa anche poesia: «Ho scritto poesie, ma non sempre. È l’aspetto più creativo, che va a periodi e si contrappone a quello di interprete. Durante la mia tarda adolescenza, volli misurarmi con una serie di sonetti, e pure dipingevo e componevo; ma è stato un “periodo di genio” piuttosto circoscritto. Mentre le centinaia di testi poetici che ho scritto nella fase centrale della vita sono nate con la volontà di plasmare in parole un’immagine, un racconto, un’idea, in una forma caratterizzata e per me originale. Molte poesie sono visioni fantastiche, o bizzarre, oppure riflessioni sulle contraddizioni e le assurdità di un mondo che per essere sopportato richiede anche un forte umorismo. Insomma l’arte quale “velo dell’ordine”, come scriveva Novalis, nel tentativo di dare forma al caos. Per aiutarci a resistere, e anche a sorridere».
Lontano dal palco Ho deciso di uscire dalle scene perché volevo finire mentre ero ancora sicuro di avere il pieno controllo sulle mie facoltà fisiche e mentali
L’altra passione
Mi sono messo a scrivere poesie per plasmare in parole immagini, idee, racconti e riflessioni sulle contraddizioni e le assurdità del mondo