Quarta vittoria consecutiva al Franchi per i viola, che volano in classifica. Un rigore dubbio su Chiesa scatena l’ira dei nerazzurri: «Una compensazione per domenica scorsa». Cognigni: «Sono parole gravi»
Quattro vittorie su quattro in casa, i viola volano in classifica (tra i veleni)
Lassù. Dove sembrava impossibile arrivare. In cima a un salita cattiva. Di quelle che ti guardano in faccia, per capire chi sei. Lassù, la Fiorentina, ci arriva distrutta dalla fatica. Eppure, con le braccia al cielo. Ad aspettarla, al traguardo, i tifosi del Franchi. E un urlo che non si sentiva da un po’. «E vola vola si va, sempre più in alto si va». Al quarto posto, per esser precisi. E a meno due dal Napoli.
Sette partite, tredici punti, quattordici gol fatti, cinque subiti e quattro vittorie su quattro in casa. Numeri da grandi per questi ragazzi terribili che, forse, dovremo abituarci a chiamare per quello che sono: uomini. Nonostante l’età. Aveva scelto il ciclismo, Pioli, per spiegare cosa sarebbe stata la gara con l’Atalanta. «Un muro durissimo, ma possiamo farcela».
Aveva ragione. Perché il 2-0 di ieri profuma di fatica. E pazienza se (per una volta) quello saltato fuori non è il risultato più giusto. La Fiorentina lo sa bene. Reduci da una sconfitta (con l’Inter) decisamente immeritata, Pezzella e compagni si son ripresi tutto. I punti, e un pizzico di fortuna. E ogni riferimento al Var (e agli arbitri) non è puramente casuale. Sarebbe sbagliato non ripartire (anche da qua). Da un episodio (il rigore fischiato da Valeri per l’intervento di Toloi su Chiesa) che al contrario di quanto successo martedì ha giocato un ruolo determinante (in positivo) per la vittoria finale.
Il nodo è sempre lo stesso. Perché un mezzo che dovrebbe aiutare a sbagliare meno sta invece (ri)alimentando il fuoco delle polemiche? Perché, soprattutto, gli arbitri non riescono a tenere un atteggiamento lineare? In fondo, era quello che aveva chiesto la stessa Fiorentina: uniformità di giudizio, e rispetto delle regole. Fermarsi a quel rigore, però, sarebbe un errore. C’è stato molto altro, ieri. Prima di tutto le scelte di Pioli. Di fatto, il mister, è ripartito dall’undici «tipo». Con Pjaca e Gerson (in panchina con l’Inter) al posto di Mirallas e Fernandes. Il campo però, non ha dato le risposte sperate. Gambe pesanti. Poche
Svolta
Vantaggio di Veretout su un rigore contestatissimo, poi il sigillo di Biraghi
idee, e confuse. Quelli con l’Atalanta, dal punto di vista del gioco, son stati i peggiori 90’ di questo avvio di stagione. Mai, la Fiorentina, era andata così in difficoltà. Sembravano in dodici, quelli di Gasperini. Sempre primi sul pallone, ogni duello (per i viola) era un ko. Pjaca e Simeone, per esempio, hanno vissuto un pomeriggio da incubo. Il croato, soprattutto. Trotterellava stanco, incapace di fare anche solo intravedere qualche barlume del suo talento. Un fantasma.
Non a caso, Pioli, l’ha tolto dopo nemmeno dieci minuti del secondo tempo. È stato, il «10», il manifesto di una squadra stremata. «Ci serve un ultimo sforzo, fino alla partita con la Lazio, poi potremo riposarci», ha detto il mister alla vigilia. Evidentemente, aveva colto segnali sinistri. Bastava guardarli, alla fine. Tutti (o quasi) stesi dai crampi. Eppure, son rimasti lì. Aggrappati alla partita e, tutto sommato, senza rischiare più di tanto.
E qua veniamo ad un elemento fondamentale. La fase difensiva. Pezzella ha giocato da capitano. Ha mostrato i muscoli, e non ha concesso nulla. Idem Milenkovic. Lo stesso Vitor Hugo, partito balbettando, ha chiuso alla grande. E poi Veretout. Glaciale dal dischetto ma bollente, la in mezzo. Un guerriero, il francese, capace di tenere in piedi un centrocampo in apnea. E così, l’assedio nerazzurro, s’è schiantato contro la fortezza viola. Questo, di fatto, il copione andato in scena. Poi, all’improvviso, un alieno è atterrato sul Franchi. Ha il numero 25, e si chiama Federico. Chiesa, oggi, sta alla Fiorentina come Cristiano Ronaldo sta alla Juve. Quando vuole, determina. Quando cambia passo, spacca. Basta ripensare (che ci sia stato contatto o meno) all’azione del rigore. Semplicemente spaventosa. Per forza, tecnica in velocità, cattiveria, determinazione. Fede, è di un’altra categoria. È (già) un giocatore da Champions. Lui, come i compagni, è arrivato sfinito. E il capolavoro di Biraghi, per il 2-0, è stata una liberazione. L’ultimo colpo di pedale per arrivare lassù. In cima a quel muro che pareva impossibile. La parola d’ordine, ora, è una soltanto: riposo. Domenica c’è un altro tappone (all’Olimpico, contro la Lazio) e non sempre il cuore può spingerti dove non possono le gambe. Certo, vittorie così, aiutano. Ti fanno più forte e, magari, ti convincono che non esistono salite che non si possono scalare.