Bobby Solo al «Buh!» «Canto Johnny Cash»
Venerdì a Rifredi il live con i pisani BroadCash
Emozioni «Celebriamo i 50 anni del mitico album dedicato ai carcerati della California»
È successo quasi per caso: «Nel ‘65 la Ricordi stava dismettendo 150 vinili del catalogo Cbs. Pur di non vederli al macero, li ho comprati io. Tra quei dischi ce n’era una decina di Johnny Cash, è stato amore a prima vista». Parola di Bobby Solo che venerdì alle 22 inaugura la stagione del «Buh!» a Rifredi insieme alla tribute band de L’uomo in nero dell’Arkansas, i pisani BroadCash. Un concerto celebrativo dei 50 anni dell’album per eccellenza di Johnny Cash, pietra miliare del folkrock di tutti i tempi: Folsom Prison Blues. Che il cantautore americano volle organizzare per i detenuti del carcere di massima sicurezza in California, sfidando pregiudizi e benpensanti, passando alla storia. «Poco dopo mi chiamarono dalla Germania perché Johnny e la moglie June Carter si esibivano in una base americana per i soldati — prosegue l’Elvis italiano — Mi ha dato la mano e rimasi di stucco nel notare che sembrava una bistecca alla fiorentina». Per tutti Roberto Satti in arte Bobby Solo, 73 anni di 55 vissuti sul palco, è l’Elvis italiano. Ma per lui è riduttivo: «Elvis, Willie Nelson e Johnny Cash sono i miei tre grandi amori, alla pari» e li ha suonati per anni. Poi «un anno fa ho incontrato per caso questi ragazzi giovani e bravissimi, i BroadCash, mi hanno invitato a Pisa a sentirli in concerto e ho fatto qualche pezzo con loro: grandi applausi e soddisfazioni. Da quel giorno ci siamo messi insieme e giriamo con questo progetto di cui tra poco esce il vinile». Johnny Cash sentiva un legame speciale con i carcerati, lui stesso è stato in galera un paio di giorni per questione di droga. «La mia droga è solo il caffé, ne abuso — scherza Bobby Solo — Credo fosse la sua insicurezza ad averlo condotto alla droga. Io sono un istintivo e le sue canzoni da Cry Cry Cry a Girl from North Country fatta insieme a Bob Dylan, mi danno un’emozione profonda, lo sento, lo vivo».
È ancorato al passato ma guarda anche al presente: «Ascolto tutti i nuovi artisti e apprezzo la musica di ogni tempo, però più invecchio e più ascolto musica anni Venti. Di quella di oggi l’unica cosa che non mi piace è l’eccessivo uso del computer per campionare gli strumenti: la musica è sentimento, i computer sono dei robot e i robot non hanno sentimenti. Finché non inventeranno, dopo l’intelligenza artificiale, anche il sentimento artificiale. Ma sarà sempre un surrogato».