«San Frediano zona cool? Scriverlo non fu un errore»
Il direttore di Lonely Planet Italia: chi ci legge rispetta i luoghi che visita Airbnb con grandi numeri è un problema, ma chi è incivile lo è pure in hotel
Paese parliamo di tre milioni di guide vendute complessivamente all’anno. Sono numeri risibili. E quelli che leggono una guida, uno strumento che vuole dare profondità a chi vuol fare turismo, sono le persone che dovrebbero essere più ambite, che rispettano i luoghi che visitano, non sono i grandi numeri che mettono in difficoltà una città come Firenze, non sono i turisti mordi e fuggi».
In San Frediano, per fortuna, non ci sono ancora le grandi comitive, ma con gli Airbnb anche lì è in corso la progressiva espulsione dei residenti.
«Se noi raccontiamo ai nostri lettori, comunque una piccola élite, che ci sono cose interessanti da vedere in San Frediano, allo stesso tempo, per completezza di informazione, diciamo anche che è un quartiere di vita notturna. Magari qualcuno che non ama la confusione decide di dormire altrove...».
Lei non crede che il fenomeno degli Airbnb rappresenti un problema per il centro di Firenze?
«È chiaro che a Firenze ha l’evidente risvolto negativo di svuotare le case della vita quotidiana dei residenti a vantaggio del turista. Ma non si può fare di ogni erba un fascio: se ho una casa al mare vuota 11 mesi all’anno e l’affitto faccio un’operazione virtuosa. Cosa diversa se una società affitta 100, 200 appartamenti».
Appunto, a Firenze il problema sono i numeri.
«Non c’è dubbio, i numeri sono un problema. Ma teniamo conto che non è la destinazione a determinarlo: un tempo a viaggiare era un numero ristretto di privilegiati, oggi questi numeri sono aumentati in modo impressionante. L’industria del viaggio è l’unica a livello mondiale che non ha conosciuto crisi a dispetto di guerre, malattie, difficoltà economiche. Ma a Firenze il fenomeno più grave è il mordi e fuggi, il turista che arriva la mattina e va via il pomeriggio».
Emerge anche una mancanza di rispetto delle regole da parte di molti turisti. Non sarà che manca il vecchio consiglio del concierge dell’albergo?
«Mi rifiuto di associare il concetto di turismo più o meno consapevole in base alle scelte di pernottamento. Il punto è che siamo sempre noi a fare la differenza, quanta voglia abbiamo di spendere del tempo per capire ciò che facciamo. Serve educazione civile».
Voi parlate di esperienze autentiche: cosa fate in questa direzione?
«Raccontiamo come ci si comporta, come si entra in una chiesa, le tradizioni da rispettare. Il viaggiatore deve essere un cittadino temporaneo».
Dite anche che il cappuccino non si consuma con gli spaghetti?
«Ci proviamo».
Crede che il web, i social, siano responsabili quanto voi nel dare indicazioni al visitatore?
«Non dirò mai che chi legge una guida cartacea sia meglio o peggio di chi legge contenuti in digitale. Il punto è informarsi, partire consapevoli, anziché non sapere nulla e andare lì a mangiare un pezzo di pizza al primo baracchino che capita. Purtroppo c’è chi si accontenta di aprire il telefono e leggere una paginetta».
Al di là della responsabilità individuale, come si frenano i fenomeni più deleteri dell’over-tourism?
«Ognuno deve fare il suo mestiere, noi facciamo informazione. Spetta a un Comune mettere delle regole, come per esempio stabilire le autorizzazioni sulle aperture dei fast food in una strada. Perché è chiaro che dei limiti, per conservare il volto autentico di una città, servono».
Ci sono sindaci che vi contattano per farvi richieste, concordare strategie per regolare meglio il turismo?
«Teniamo alla nostra autonomia, non concordiamo alcunché. Negli ultimi vent’anni, dalla Toscana, credo di aver ricevuto giusto due chiamate, una da Prato, una da Grosseto, per lamentarsi per quello che noi abbiamo scritto. Da Firenze? Non mi sembra che ci abbiano mai contattati».
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Noi spieghiamo come comportarsi, ma a comprare le guide è un’élite