Sulle tracce di Frankenstein
A Carrara Due secoli dopo il celebre romanzo studiosi a confronto su Mary Shelley I legami della scrittrice e degli amici «belli e dannati» con la Toscana e la città del marmo
Duecento anni fa la cultura e l’immaginario collettivo si aprivano a un personaggio che vi avrebbe trovato e conservato inquietante fortuna. Veniva pubblicata la prima edizione di Frankenstein or the modern Prometheus della scrittrice inglese Mary Shelley. Una storia «gotica» in cui il protagonista reincarna il mito di Faust, sostituendo ad antiche discipline «sapienziali» e magiche come l’alchimia, l’ermetismo, la necromanzia, le moderne scienze della chimica, dell’anatomia e del galvanismo. Infatti, lo scienziato Viktor Frankenstein, ansioso di varcare i limiti dell’umano, crea in laboratorio con pezzi di cadavere animati dall’elettricità un mostro — il suo Doppio — una povera creatura destinata a provare orrore per la propria condizione e a suscitare orrore all’intorno, dopo essere sfuggita al dominio del «Demiurgo». La prima bozza del romanzo è vergata in una «notte buia e tempestosa» — 16 giugno 1816, Lago di Ginevra, Villa Diodati— entro un gruppo di «belli e dannati» — Lord Byron, Percy Shelley, Mary Godwin, futura signora Shelley, Claire Clermont, la sua sorellastra, John Polidori, segretario di Byron — affascinati dalla trasgressione e dall’occulto. E capaci di trasmetterne le suggestioni fascinose.
Bene, del Frankenstein e di altre storie tenebrose si parlerà a Carrara il 29 e il 30 in un convegno (Romantici e ribelli. Mary Godwin Shelley e gli Anglo-Italians, Palazzo del Principe) che vedrà la partecipazione di autorevoli studiosi impegnati a ricostruire non solo la fortuna del romanzo della Shelley ma i legami che lei, il consorte Percy e gli amici ebbero con l’Italia — luogo privilegiato degli ottocenteschi Tour intellettuali — il Risorgimento e il territorio tosco-apuano e ligure.
«Erano tutti innamorati dell’Italia — spiega Maria Mattei, anglista e organizzatrice dell’incontro — e in modo particolare della Toscana. Firenze, Pisa, Bagni di Lucca con le sue Terme, erano tra le mete privilegiate del loro Grand Tour. Ma questa è cosa nota. Meno conosciuta è l’importanza di Carrara in questi viaggi alla scoperta delle nostre bellezze. Ad esempio Charles Dickens nelle sue Pictures from Italy darà un bello spazio alla città e alle cave di marmo, insomma a tutta la sua cultura materiale». Trent’anni prima, il nostro gruppo di amici, romantici, stravaganti, ribelli, sempre in cerca di emozioni nuove, girava volentieri per il Bel Paese e «la Toscana, la nostra Carrara, andava a trovarli. Sappiamo che tra gli ospiti di Villa Diodati ci fu il patriota carrarese Pellegrino Rossi — futuro giurista, politico e consigliere di Pio IX — ucciso in un attentato nel 1848». Rossi conosceva bene la lingua inglese e la cultura romantica e «fu proprio lui a tradurre il Giaurro di Byron tra il 1817 e il 1818 — continua la studiosa — Tutti, poi, sostenevano la causa patriottica italiana, erano in rapporto con molti esuli (l’angloitaliano John Polidori era figlio del poligrafo Gaetano, originario di Bientina, in provincia di Pisa, ed esule a Londra come Ugo Foscolo), facevano parte di salotti e circoli romantici. A Pisa, per esempio, Byron, Percy e Mary Shelley erano in contatto con il Circolo dei Lunatici, nato per volontà di una dama inglese, Miss Mason, già pupilla della madre di Mary. Nel 1821, durante i moti insurrezionali, Byron e Shelley dimorarono a Pisa: il primo sul Lungarno Mediceo, a Palazzo Lanfranchi, il secondo sul Lungarno Galilei, a Palazzo della Chiesa. E a Pisa dettero vita al cenacolo letterario Pisan Circle, sopravvissuto fino al 1822». Erano patrioti, romantici e anche cultori di miti e simboli, del mistero, dell’esoterismo, dell’occulto basti pensare «al mito prometeico, che è una delle suggestioni letterarie più importanti di Percy Shelley e uno dei tratti caratteristici del Frankenstein di Mary. Un’opera, tra l’altro, piena di echi byroniani». Tra loro anche l’anglo-pisano John Polidori, uno dei protagonisti della notte delle streghe di Villa Diodati, col suo racconto lungo Il Vampiro, e morto suicida nel ‘21. «Si era laureato giovanissimo in Inghilterra, aveva studiato anche all’Università di Pisa, concentrando la sua attenzione sui sogni e gli incubi, e riscuotendo l’apprezzamento di un docente come Andrea Vaccà Berlinghieri. Il quale, come tutti gli altri, era innamorato della scienza e della magia. Tanto è vero che a Montefoscoli, farà costruire una sorta di tempietto massonico in onore del padre e dedicato a Minerva Medica». Insomma gli intrecci toscani sono tanti e hanno una ricaduta sulla letteratura e sul Frankenstein: «Snodo del Grand Tour, dal Nord al Centro Italia, era Avenza, adesso il quartiere più grande della città di Carrara, e che allora si chiamava Lavenza — continua Maria Mattei — Ebbene si chiama Elizabeth Lavenza un personaggio femminile del Frankenstein. Come mai ha questo cognome italiano? Nel 1818, quando appare il romanzo, Mary Shelley sicuramente non era stata a Carrara. Ci andrà in seguito? Non lo sappiamo, ma possiamo ipotizzare che il nome le fosse stato suggerito da qualche amico inglese o angloitaliano. In ogni caso Mary era innamorata dell’arte e della storia d’Italia. Basti ricordare che tra le sue opere c’è Valperga. La vita e le avventure di Castruccio Castracani. Ovvero del signore lucchese che sconfisse il guelfi fiorentini e che fu immortalato in una celebre opera di Niccolò Machiavelli». Da Frankenstein a Castruccio? «Inglesi e anglo-italiani, con la Toscana nel cuore, erano curiosi di tutto e di più».
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Snodo del Gran Tour era Avenza, allora Lavenza, come un personaggio del libro