La speranza di Mikayel al museo del Duomo
Il Premio Marinelli all’artista armeno Ohanjanyan
Ha utilizzato il basalto, pietra lavica millenaria legata alla sua terra per uno sguardo all’infinito
Cos’è la speranza? «Io la rappresento come un movimento verso una soglia che dobbiamo attraversare, un’idea, un desiderio plasmato dalla passione e dal sacrificio». Mikayel Ohanjanyan è uno sculture armeno. Venti anni fa è venuto a Firenze per studiare, poco dopo si è trasferito in Versilia, a vivere e a scolpire. L’Armenia è terra fatta di pietre laviche millenarie e il basalto è il suo elemento identificativo. Che Ohanjanyan ha scelto per realizzare l’opera La soglia è la sorgente con cui ha vinto il premio internazionale Enrico Marinelli Contemporary Art e che rimarrà esposto per sei mesi all’ingresso della Galleria del Campanile all’interno del Museo dell’Opera del Duomo. Il tema del concorso era, appunto, la speranza. «Il basalto – spiega – non è una pietra sedimentaria ma lavica, e per questo ha in sé tutta l’energia primordiale della storia dell’universo. E con i nove tagli nella pietra, nove come il numero che simboleggia l’infinito, apriamo una soglia dopo l’altra, ognuna delle quali è una vita, la possibilità di rivedere le stesse cose da punti di vista, vissuti ed esperienze diverse». Il premio istituito dall’Opera di Santa Maria del Fiore e della Guild of the Dome Association in memoria del contributo offerto dal fondatore di quest’ultima, grazie alla generosità di Eurovita Assicurazioni, è coordinato dalla curatrice di arte contemporanea Adelina von Fürstenberg che ricorda come il premio sia nato per invitare «artisti contemporanei a impegnarsi con temi che sono al centro del dibattito teologico e delle teorie filosofiche più contemporanee». La giuria aveva esaminato 45 artisti, proposti da 10 critici e curatori, arrivando a cinque finalisti: Francesco Arena, Marco Bagnoli, Sakshi Gupta dall’India e Barthélémy Toguo dal Camerun, oltre a Mikayel Ohanjanyan. «Mikayel ha scelto un idioma fuori del tempo, la pietra nuda, la stessa in cui lavorarono Arnolfo di Cambio, Tino da Camaino, Andrea Pisano, Donatello – ha aggiunto Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera del Duomo – creata da Dio, alzata e incisa dall’uomo, segno di comunione tra il Creatore e la creatura». E ha scelto la Galleria del Campanile perché «circondata da tanti steli, in un contesto sacro, contrappone un’intenzione che prescinde dalla tradizione ebraicocristiana, un orizzonte che è religioso ma non solo, spirituale nel senso più ampio».
L’opera