Corriere Fiorentino

La speranza di Mikayel al museo del Duomo

Il Premio Marinelli all’artista armeno Ohanjanyan

- Edoardo Semmola

Ha utilizzato il basalto, pietra lavica millenaria legata alla sua terra per uno sguardo all’infinito

Cos’è la speranza? «Io la rappresent­o come un movimento verso una soglia che dobbiamo attraversa­re, un’idea, un desiderio plasmato dalla passione e dal sacrificio». Mikayel Ohanjanyan è uno sculture armeno. Venti anni fa è venuto a Firenze per studiare, poco dopo si è trasferito in Versilia, a vivere e a scolpire. L’Armenia è terra fatta di pietre laviche millenarie e il basalto è il suo elemento identifica­tivo. Che Ohanjanyan ha scelto per realizzare l’opera La soglia è la sorgente con cui ha vinto il premio internazio­nale Enrico Marinelli Contempora­ry Art e che rimarrà esposto per sei mesi all’ingresso della Galleria del Campanile all’interno del Museo dell’Opera del Duomo. Il tema del concorso era, appunto, la speranza. «Il basalto – spiega – non è una pietra sedimentar­ia ma lavica, e per questo ha in sé tutta l’energia primordial­e della storia dell’universo. E con i nove tagli nella pietra, nove come il numero che simboleggi­a l’infinito, apriamo una soglia dopo l’altra, ognuna delle quali è una vita, la possibilit­à di rivedere le stesse cose da punti di vista, vissuti ed esperienze diverse». Il premio istituito dall’Opera di Santa Maria del Fiore e della Guild of the Dome Associatio­n in memoria del contributo offerto dal fondatore di quest’ultima, grazie alla generosità di Eurovita Assicurazi­oni, è coordinato dalla curatrice di arte contempora­nea Adelina von Fürstenber­g che ricorda come il premio sia nato per invitare «artisti contempora­nei a impegnarsi con temi che sono al centro del dibattito teologico e delle teorie filosofich­e più contempora­nee». La giuria aveva esaminato 45 artisti, proposti da 10 critici e curatori, arrivando a cinque finalisti: Francesco Arena, Marco Bagnoli, Sakshi Gupta dall’India e Barthélémy Toguo dal Camerun, oltre a Mikayel Ohanjanyan. «Mikayel ha scelto un idioma fuori del tempo, la pietra nuda, la stessa in cui lavorarono Arnolfo di Cambio, Tino da Camaino, Andrea Pisano, Donatello – ha aggiunto Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera del Duomo – creata da Dio, alzata e incisa dall’uomo, segno di comunione tra il Creatore e la creatura». E ha scelto la Galleria del Campanile perché «circondata da tanti steli, in un contesto sacro, contrappon­e un’intenzione che prescinde dalla tradizione ebraicocri­stiana, un orizzonte che è religioso ma non solo, spirituale nel senso più ampio».

L’opera

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Da sinistra: Timothy Verdon (direttore del Museo dell’Opera del Duomo), Gloria Cecchi Marinelli (Presidente Guild of the Dome), Adelina von Fürstenber­g, (curatore del Premio Enrico Marinelli Art Award) e l’artista Mikayel Ohanjanyan

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