«Le colpe dei padri non cadano sui figli»
Processo d’appello Menarini, la difesa chiede di assolvere Lucia Aleotti
«Chiedo una giustizia giusta, dove le presunte colpe dei padri non debbano ricadere sui figli». È appassionata l’arringa dell’avvocato Alessandro Traversi al processo d’appello Menarini. Per quattro ore, argomenta citando le sentenze della Cassazione, Pascal e Cartesio per smontare le accuse della procura generale e chiedere l’assoluzione per Lucia Aleotti, figlia di Sergio, patron dell’azienda farmaceutica fiorentina, scomparso nel 2014. Per lei e il fratello Alberto Giovanni, il procuratore generale Benedetta Parducci, il procuratore aggiunto Luca Turco ed Ettore Squillace Greco, ex pm e attuale procuratore di Livorno, hanno chiesto, nelle precedenti udienze, la conferma della condanna a 9 anni per riciclaggio e truffa.
Nel 2003 il patron della Menarini capì che «il mondo stava cambiando velocemente — spiega il difensore — il sistema Poggiolini era finito e l’azienda doveva essere rinnovata». In altre parole «si rese conto che era venuto il momento di voltare pagina: usò lo scudo fiscale per il rientro di capitali e versò notevoli cifre all’agenzia delle entrate.». E sottolinea: «È tutto da dimostrare che Lucia sapesse della disponibilità del padre dei capitali all’estero. Se lo avesse saputo cosa avrebbe dovuto fare: denunciare il padre?».
La sentenza di primo grado, secondo Traversi è basata solo su congetture: «Non c’è prova che Lucia abbia contribuito al riciclaggio dei proventi accumulati all’estero dal padre derivanti da evasione fiscale né che abbia effettuato versamenti su banche estere».
E alla fine chiede l’assoluzione: «La mera razionalità non è sufficiente per scrivere una sentenza. Nel giudicare non basta la pura razionalità: il giudice deve metterci il cuore, poiché, come diceva Pascal il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Lucia si è sempre dedicata a iniziative sociali, prima tra tutte la rete di pediatri che possano individuare segni di abusi sui bambini».
L’arringa
«Non c’è prova che lei abbia contribuito al riciclaggio dei soldi derivanti da evasione»